Intervista al consulente della regione Veneto per il Covid-19.

 

Chi critica la gestione lombarda dell’emergenza coronavirus è, invece, un big della scienza italiana e internazionale. Giorgio Palù, ex docente di microbiologia a Padova, professore di neuroscienze alla Temple University di Philadelphia, consulente per la Regione Veneto è esplicito: “Lombardia meno efficace del Veneto, che ha ancora una cultura e una tradizione della sanità pubblica, con presidi diffusi sul territorio. La Lombardia, molto meno”.

 

E questo che cosa ha comportato?

“In Lombardia hanno ricoverato tutti, esaurendo ben presto i posti letto. Il 60% dei casi confermati. In Veneto invece i medici di base e i Servizi d’igiene delle Asl hanno fatto filtro: solo il 20% di ricoverati. Tenendo a casa i positivi asintomatici si è evitato l’affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio. E la creazione di reparti Covid in ospedali generalisti favorisce sicuramente la diffusione del contagio tra gli operatori sanitari, che ora rappresentano circa il 10% dei casi positivi, con il risultato di esportare il virus all’esterno. Nessuno si è ricordato la lezione della Sars. Che è stato un virus nosocomiale, così come lo è il Covid-19. A diffusione ospedaliera. La scelta della Lombardia di trasferire i malati dall’ospedale di Codogno, che era il primo focolaio, ad altre strutture della Regione, si è rivelata infelice, perché ha esportato il contagio, senza per altro che venisse monitorato subito il personale medico. Hanno agito sull’onda emotiva. Tutti dentro gli ospedali. Invece dovevano tenerne fuori il più possibile. Qualcuno non ha capito che questa non è un’emergenza clinica e di assistenza ai malati, ma di sanità pubblica”.

 

E i tamponi a tappeto? Che cosa ne pensa?

“Prima agli operatori sanitari e a chi lavora con il pubblico. Non è facendo tamponi a tappeto alla popolazione che si può arrivare, specie in questa fase di diffusione, a contenere l’epidemia. Se il virus si espande su larga scala fare a tutti il tampone è impossibile e inutile: dice solo se in un determinato momento sei positivo, non se lo diventi il giorno dopo. Nella fase 2, invece, per tenere sotto controllo il rischio di eventuali nuove ondate serve fare i test sierologici per gli anticorpi. Per mappare la situazione. Il tampone di per sé invece non sortisce effetti in ambito terapeutico, né potrebbe rappresentare un valido presidio di prevenzione se le misure in vigore di distanziamento sociale venissero rispettate”.

 

E i contagi di ritorno? Il timore di una seconda ondata?

“I contagi di ritorno diventeranno il vero problema. Bisognerà proteggersi dal contagio di ritorno, che in futuro sarà il vero problema. Dobbiamo mappare in fretta i soggetti asintomatici, sia quelli che sono venuti a contatto con il virus che quelli che non lo sono. Qui i test, in particolare quelli per gli anticorpi, hanno un senso, ma devono essere validati per non avere falsi positivi o falsi negativi”.

 

Il virus può mutare?

“I coronavirus di solito non mutano”.

 

Secondo l’epidemiologo Andrea Crisanti, che ha messo a punto la strategia anti-contagio per il Veneto, servono ancora quattro mesi affinché l’epidemia scompaia completamente, senza registrare più casi, ma è un tempo che gli italiani non possono sopportare di trascorrere barricati in casa. Che cosa fare?

“Bisogna capire quale sia il rischio accettabile e procedere per gradi, con le dovute accortezze. Il pericolo reale è che se riapriamo tra un mese tutto, ad esempio a fine aprile, la probabilità di ricominciare daccapo con una nuova emergenza è elevata”.

Adesso abbiamo lo schermo protettivo del distanziamento sociale, ma se lo interrompiamo all’improvviso, e non gradualmente, aumenta la possibilità che il virus ritorni. Non dobbiamo ritornare nella situazione attuale. Perché le pandemie non arrivano mai in un’unica ondata, non c’è mai un’ondata pandemica e poi tutto sparisce. Normalmente si ha sempre una seconda ondata pandemica, quindi se vogliamo prevenirla dobbiamo assolutamente imparare la lezione. Altrimenti si rischierebbe di nuovo un “tutti chiusi in casa”.

 

 

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