Dostarlimab di GSK più chemioterapia è l’unica combinazione immuno-oncologica a mostrare una sopravvivenza globale (OS) statisticamente e clinicamente significativa in tutta la popolazione. Riduzione del 31% del rischio di morte e miglioramento di 16,4 mesi dell’OS mediana osservati con dostarlimab più chemioterapia rispetto alla chemioterapia in tutta la popolazione. Riduzione del 37% del rischio di progressione della malattia o morte e miglioramento a 6 mesi della sopravvivenza libera da progressione mediana osservati con l’aggiunta di niraparib al mantenimento con dostarlimab dopo dostarlimab più chemioterapia, rispetto alla chemioterapia nella popolazione MMRp/MSS dove le opzioni di trattamento sono ancora necessarie.

 

 

 

Tumore dell’endometrio: “anche per le pazienti metastatiche potremo usare la parola guarigione“.

Non usa mezzi termini la professoressa Domenica Lorusso, Responsabile della Ginecologia Oncologica Medica all’Humanitas San Pio X di Milano.

“Grazie al trattamento con dostarlimab, infatti, possiamo evitare le recidive: questo farmaco cambia la storia della malattia“.

Prima di parlare del farmaco e dei risultati degli studi clinici, facciamo un passo indietro e vediamo la carta d’identità di questa forma di cancro.

“Il tumore dell’endometrio è il più comune tra i tumori ginecologici, colpendo una donna su 17 e con un numero di nuove diagnosi l’anno che varia tra 8 e 18 mila”, prosegue la professoressa.

“Per anni è stato considerato un tumore ‘facile’, poiché nell’80% dei casi viene diagnosticato al primo stadio e questo ha fatto si che si disinvestisse sulla ricerca”.

“Come conseguenza, ora è l’unico tumore che ha incidenza e mortalità in aumento“.

Se per gli stadi I e II (tumore limitato alla parte alta dell’utero; e che ha invaso la cervice uterina, ma non aree al di fuori dell’utero) la percentuale di sopravvivenza a distanza di 5 anni dalla prima diagnosi e dal trattamento è pari al 70-95%, per gli stadi III e IV (il tumore si è diffuso oltre l’utero; ha invaso la vescica e/o l’intestino oppure presenta metastasi a distanza), questa crolla al 10-60%.

“Colpisce donne in menopausa, in età avanzata, e appartenenti a una popolazione fragile, cioè con comorbidità, come obesità, diabete e ipertensione“.

“Oggi, però, tramite l’analisi del DNA, possiamo classificare quattro tipologie di questo tumore, ciascuna predittiva del trattamento idoneo e di mortalità”.

Vi sono, infatti, i POLE mutati, che rappresentano il 7% dei tumori del corpo dell’utero, a buona prognosi; i tumori con instabilità dei microsatelliti MSI o MMRd che rappresentano il 28% dei tumori uterini, tumori a prognosi intermedia; i tumori con caratteristiche molecolari aspecifiche (NMSP), che rappresentano il 39% di questi tumori e hanno prognosi intermedia e infine tumori con mutazione di p53 e elevato copy number (p53 mut) che rappresentano il 26% dei tumori uterini e hanno prognosi infausta.

La diagnosi precoce si accompagna ad una prognosi favorevole e la terapia è principalmente chirurgica, la chemioterapia è utilizzata a scopo adiuvante o negli stadi avanzati.

 

 

Gli studi RUBY e RUBY parte II e gli eccezionali risultati nel tumore dell’endometrio

L’obiettivo del programma di studi di fase III RUBY è valutare quali pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente potrebbero potenzialmente beneficiare del trattamento con dostarlimab più chemioterapia, con o senza l’aggiunta di niraparib di mantenimento.

La parte 1 dello studio sta valutando dostarlimab più chemioterapia standard (carboplatino-paclitaxel) seguito da dostarlimab, rispetto a chemioterapia più placebo seguito da placebo.

La parte 2 sta invece valutando dostarlimab più chemioterapia standard, seguito da dostarlimab più niraparib (un PARP inibitore) come terapia di mantenimento, rispetto a chemioterapia più placebo seguito da placebo.

“I dati di RUBY dell’anno scorso ci avevano sorpreso per i risultati in termini di sopravvivenza libera da progressione, quest’anno abbiamo ottenuto numeri ottimi per quanto riguarda la sopravvivenza globale (OS)“, afferma il professor Giorgio Valabrega, Direttore della S.C.D.U Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino.

“A tre anni, infatti, il 78% delle pazienti è viva“.

I dati presentati mostrano un ulteriore potenziale beneficio di dostarlimab più chemioterapia, con o senza l’aggiunta di niraparib, nella popolazione complessiva di pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente, comprese le pazienti con tumori con capacità di riparazione del mismatch (MMRp)/microsatelliti stabili (MSS), per i quali attualmente non esistono regimi approvati basati sull’immunoterapia.

È stato osservato un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo dell’OS per dostarlimab più chemioterapia rispetto a placebo più chemioterapia, raggiungendo l’endpoint primario dello studio.

Dostarlimab più chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia ha mostrato una riduzione statisticamente significativa del rischio di morte del 31% nella popolazione complessiva.

E un miglioramento clinicamente significativo di 16,4 mesi nell’OS mediana (44,6 mesi contro 28,2 mesi).

In un’analisi esplorativa prespecificata della popolazione MMRp/MSS è emersa una tendenza clinicamente significativa nella riduzione del rischio di morte del 21% e  un miglioramento clinicamente significativo di sette mesi nell’OS mediana (34,0 mesi contro 27,0 mesi).

“Questi studi cambiano la pratica clinica per tutte le pazienti” aggiunge la professoressa Lorusso.

“Per quelle con recidiva la sopravvivenza mediana passa da 28 a 45 mesi“.

“La popolazione che ne beneficia di più è quella con instabilità dei micro satelliti, con una sopravvivenza del 78%”.

 

 

Dostarlimab più PARP inibitore

L’aggiunta di niraparib a dostarlimab nel contesto di mantenimento ha migliorato significativamente la PFS nel carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente in prima linea rispetto alla sola chemioterapia, raggiungendo l’endpoint primario dello studio.

Dostarlimab più chemioterapia seguito da dostarlimab più niraparib rispetto a placebo più chemioterapia seguito da placebo ha mostrato una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione della malattia o di morte del 40% nella popolazione complessiva.

E un miglioramento clinicamente significativo di 6,2 mesi nella PFS mediana (14,5 mesi vs 8,3 mesi), mentre nella popolazione MMRp/MSS una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione della malattia o di morte del 37%, nonché un miglioramento clinicamente significativo di 6,0 mesi nella PFS mediana (14,3 mesi vs 8,3 mesi).

“La combinazione si è dimostrata superiore sia per le pazienti con instabilità di microsatelliti, sia in quella generale; bisogna ricordare che questa non è una terapia ‘leggera’, ma che presenta un alto tasso di tossicità”.

“A un follow-up di un anno non abbiamo visto altri eventi e possiamo quindi affermare che la combinazione più chemioterapia aumenta la sopravvivenza di 16 mesi nella malattia metastatica avanzata“, conclude la Lorusso.

 

 

Tumore dell’endometrio: esistono forme ereditarie correlate a sindromi genetiche

Circa il 3% dei tumori dell’endometrio è associato alla sindrome di Lynch, una sindrome ereditaria.

Lo rivela uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Manchester, in Gran Bretagna, pubblicato sulla rivista PLOS Medicine.

La sindrome di Lynch è una sindrome genetica a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dalla predisposizione a sviluppare tumori dell’intestino e in altri organi come l’utero.

E’ causata dalla mutazione di geni deputati a correggere gli errori del sistema di duplicazione del DNA, in occasione dei processi di divisione cellulare; quelli più spesso coinvolti sono i geni MLH1, MSH1, MSH6 e PMS2.

Ogni figlio di un genitore portatore del gene mutato ha una probabilità del 50% di ereditare questa sindrome.

I rischi principali connessi all’ereditarietà sono una maggiore predisposizione a sviluppare un tumore del colon retto e, nelle donne, un tumore dell’utero.

Meno probabile è invece lo sviluppo di tumori allo stomaco, all’intestino tenue, all’ovaio, alle vie urinarie, al pancreas e alla prostata.

In presenza della sindrome di Lynch il rischio di sviluppare un tumore del colon arriva al 40-80% mentre il rischio di sviluppare un tumore dell’endometrio aumenta dal 2% al 20-60%.

I tumori collegati alla sindrome di Lynch si sviluppano in età più precoce rispetto alle forme non ereditarie.

Nello studio condotto dall’Università di Manchester sono state prese in considerazione 500 donne con una diagnosi di tumore dell’endometrio o di iperplasia atipica dell’endometrio (una lesione pretumorale che aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare un carcinoma), alle quali è stato offerto il test genetico per individuare possibili mutazioni associate alla sindrome di Lynch.

Dai dati raccolti è emerso che nel complesso 16 donne su 500 (3,2%) presentavano mutazioni compatibili con la sindrome di Lynch.

Se tutte le donne con tumore dell’endometrio fossero testate per verificare la presenza di questa sindrome si raggiungerebbero due importanti obiettivi.

Innanzitutto identificare le pazienti inconsapevoli di essere portatrici della sindrome e avviare i necessari percorsi di prevenzione per ridurre il rischio di sviluppare altri tumori futuri.

In secondo luogo allargando lo screening ai familiari delle stesse pazienti si potrebbero avviare percorsi di prevenzione per i familiari riducendo così il rischio soprattutto fra i più giovani.