Polatuzumab in associazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (R-CHP) è la prima terapia approvata da AIFA negli ultimi 20 anni per il trattamento di prima linea del linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL). È rimborsato per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) non pretrattato con fattore di indice prognostico (IPI) 3-5. Il trattamento di prima linea con Polatuzumab in associazione ad R-CHP ha dimostrato una riduzione del rischio di Progression Free Survival (PFS) del 27% rispetto ad R-CHOP (standard di cura) in una popolazione di pazienti con DLBCL caratterizzata da malattia a rischio intermedio o alto. Riduce il rischio di malattia primariamente refrattaria del 25%.
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in data 20 dicembre 2023, ha approvato polatuzumab in combinazione con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (R-CHP) per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) precedentemente non trattato con fattore di indice prognostico (IPI) 3-5, da oggi disponibile e rimborsato anche in Italia.
“Il 30% delle diagnosi di linfoma non-Hodgkin è costituito da questa neoplasia, ancora non ben conosciuta” spiega il Professor Maurizio Martelli, Professore Ordinario e Direttore UOC Ematologia Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I/ Università “Sapienza” – Roma.
Che cos’è il linfoma diffuso a grandi cellule B
“Si tratta di una neoplasia dei linfociti B, le cellule del sistema immunitario preposte a produrre anticorpi” prosegue.
“Colpisce soprattutto i linfonodi, ma, come si evince dal nome, si diffonde ad altri organi”.
“È molto aggressivo: se non trattato può portare molto rapidamente, nel giro di pochi mesi, al decesso”.
“Insorge solitamente dopo i 60 anni, ma può manifestarsi a qualsiasi età, anche in persone giovani”.
Ogni anno si contano oltre 500.000 nuove diagnosi a livello mondiale e circa 13.200 in Italia e le opzioni terapeutiche negli ultimi vent’anni hanno subito progressi limitati nell’ottimizzazione delle risposte per i pazienti con DLBCL non trattato precedentemente.
Come si classifica il linfoma diffuso a grandi cellule B
“Esiste un Indice prognostico internazionale per il linfoma non Hodgkin (IPI) che divide i pazienti in quattro gruppi, a seconda dell’età, dell’avanzamento della malattia e da latri due fattori misurati alla diagnosi: ciascuno aumenta di un punto l’IPI, rendendo i pazienti con tre o più punti quelli a più alto rischio e con sopravvivenza a cinque anni minore”.
Le cause e i fattori di rischio del linfoma diffuso a grandi cellule B
“Non esistono fattori di rischio per questo tumore”, chiarisce il Dottor Antonello Pinto, Direttore Medico dell’Istituto Nazionale Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS di Napoli.
“Anche le cause non sono ben conosciute, ma sappiamo però cosa avviene: i linfociti B sono coinvolti nel processo per creare anticorpi, ma solo uno su un milione riesce in questo compito”.
“Tutti gli altri, che hanno fallito, vengono eliminati. Questo succede continuamente, ogni giorno, nel nostro corpo, per triliardi di linfociti B. Può capitare che uno di questi, che dovrebbe essere spazzato via, sfugge invece ai controlli e prolifera diffondendo l’anomalia che lo caratterizza” conclude il clinico.
Le terapie per il linfoma diffuso a grandi cellule B
“La combinazione di polatuzumab e R-CHP rappresenta una nuova risorsa rispetto all’attuale terapia standard (R-CHOP)” afferma Pinto.
“È una rivoluzione, in quanto porta a un significativo avanzamento rispetto alla migliore terapia standard disponibile, comparsa in clinica ormai già da 23 anni”.
“Infatti, con quest’ultima si riescono ad ottenere tassi di guarigione del 50-60%: significa che c’è una risposta completa del paziente e le cellule neoplastiche, eventualmente ancora presenti, sono al di sotto della capacità diagnostiche per rilevarle”.
“Ma significa anche che ogni 10 pazienti, 4 o 5 non ottengono risposta completa o non la ottengono proprio” continua.
Polatuzumab vedotin per il linfoma diffuso a grandi cellule B
“Lo studio POLARIX (uno studio clinico controllato e randomizzato di fase III con 879 pazienti arruolati) ha dimostrato come polatuzumab in combinazione con R-CHP riduce il rischio di progressione della malattia, ricaduta o morte del 27% rispetto allo standard di cura, R-CHOP, con un profilo di sicurezza comparabile”.
“L’utilizzo in prima linea, solo per i pazienti con IPI >3, ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione del 7%” aggiunge Martelli, “ma c’è da considerare anche il vantaggio costi/benefici“.
“Infatti, sebbene sia più costoso rispetto alla terapia standard, la sua aggiunta fa sì che ci sia un 28% in meno di pazienti da curare e questo si traduce in un notevole risparmio economico e di risorse per il SNN”.
Come funziona polatuzumab vedotin
Polatuzumab vedotin è un coniugato anticorpo-farmaco (ADC, antibody-drug conjugate) anti-CD79b first-in-class.
Si lega alle cellule tumorali, come quelle che esprimono la proteina CD79b, e le distrugge attraverso la somministrazione di un agente antitumorale, che si ritiene riduca al minimo gli effetti sulle cellule norma
Polatuzumab vedotin è stato sviluppato da Roche utilizzando la tecnologia Seagen ADC, ed è attualmente in fase di studio per il trattamento di diversi tipi di linfoma non Hodgkin.
“Il farmaco è costituito da tre parti” spiega Pinto: “un anticorpo che si lega alle cellule, un piccolo ‘ponte’ e una molecola ad alta tossicità derivata da molluschi marini“.
“Il ‘ponte’, che unisce l’anticorpo alla tossina, fa sì che questa venga liberata solo dopo che è stata internalizzata”.
“L’approvazione da parte di AIFA di polatuzumab in combinazione con R-CHP rappresenta una svolta significativa per i pazienti italiani affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL). Questa terapia, la prima approvata negli ultimi 20 anni, offre una nuova prospettiva di trattamento, dimostrando una riduzione del rischio di progressione del 27% rispetto allo standard di cura.” dichiara Federico Pantellini, Medical Affairs Chapter Lead Roche Pharma.
“La sua efficacia potrebbe non solo migliorare gli esiti clinici, ma anche ridurre la necessità di terapie successive, contribuendo così alla sostenibilità del sistema sanitario. La decisione dell’AIFA apre le porte a una nuova era di cure per i pazienti di recente diagnosi, offrendo una speranza concreta e migliorando la qualità di vita.”
Roche continua a esplorare aree con bisogni insoddisfatti, dove polatuzumab ha il potenziale di fornire ulteriori benefici in combinazione con gli anticorpi bispecifici CD20xCD3 mosunetuzumab o glofitamab, dimostrando così l’impegno che da sempre contraddistingue la ricerca di Roche e che ha permesso a tanti pazienti italiani di poter accedere all’innovazione nel minor tempo possibile.
Il punto di vista delle associazioni
“I Linfomi non Hodgkin sono patologie complesse, che portano con sé un impatto significativo sui pazienti e sulle loro famiglie. La priorità del sistema di cura dovrebbe essere quella di garantire a ciascun individuo la possibilità di affrontare il percorso terapeutico con il massimo supporto clinico, ma anche emotivo, psicologico, nutrizionale e tutti gli interventi che possono preservare e migliorare la qualità complessiva della vita” aggiunge Davide Petruzzelli, Presidente Lampada di Aladino ETS.
“Per raggiungere questi obiettivi, unitamente ai benefici apportati dall’innovazione terapeutica, è fondamentale poter contare su un’organizzazione sanitaria efficiente in collaborazione con le associazioni di pazienti di riferimento e le istituzioni”.
“Solo attraverso un dialogo continuo e una cooperazione tra le parti coinvolte, in sinergia con i benefici apportati dall’innovazione terapeutica, possiamo affrontare l’impatto che patologie come i Linfomi non Hodgkin hanno anche in termini di tempi medici e assistenza alle cure” conclude.
“Dobbiamo e vogliamo essere un punto di riferimento sul territorio per tutte quelle persone che hanno appena ricevuto la notizia della diagnosi e hanno bisogno di supporto psicologico immediato. Il nostro impegno si concretizza nell’essere accanto e seguire il paziente e i suoi caregiver in questo percorso, fin dal primo momento, perché riteniamo che l’aspetto emotivo e psicologico giochi un ruolo fondamentale nella gestione di questa patologia. Il più importante strumento per affrontare il percorso di cure è sensibilizzare e promuovere una corretta informazione sulla patologia verso tutta la popolazione” afferma Rosalba Barbieri, Vice Presidente AIL Nazionale e Presidente AIL Novara VCO.