Che cosa ci raccontano i più antichi resti umani. Di Jill Rubalcaba e Peter Robertshaw.
Due ragazzi stanno cercando di imbucarsi a un evento sportivo e guadano un fiume nel remoto stato di Washington e, con loro grande stupore, ritrovano il teschio di un uomo.
Dopo articolate indagini, si scopre che appartiene a un individuo vissuto ben 9.000 anni fa. Che cosa ci raccontano le sue ossa? Chi era e come viveva?
Cominciano tutti con la narrazione del ritrovamento di resti umani, a volte casuale, a volte da parte di team di archeologi, i quattro capitoli del libro che racconta le quattro scoperte più importanti (e quasi complete in termini di frammenti ossei) dell’ultimo mezzo secolo per tracciare una linea tra noi e i nostri più lontani antenati.
Dall’analisi delle ossa, e di altri reperti, la parola passa poi agli esperti, che cercano di identificare e classificare l’individuo. Si apre poi un dibattito tra studiosi per ricostruire non solo l’aspetto, ma anche le abitudini di questi nostri lontani parenti.
Si parte dal ragazzo del Turkana, il cui scheletro ritrovato in Africa, racconta di un adolescente morto a causa di un’infezione, più di un milione e mezzo di anni fa.
E il bambino di Lapedo, in Spagna, trovato da un ragazzino in una regione inesplorata, che potrebbe essere un importante tassello per ricostruire un’eventuale ibridazione tra l’uomo di Neanderthal e il Sapiens.
E infine l’uomo del Similaun, meglio conosciuto come Ötzi, emerso da un ghiacciaio al confine tra Italia e Austria nel 1991. Oltre alla mummia, sono stati recuperati i suoi abiti, calzari, un’ascia, coltello e altri effetti personali, che hanno permesso di fare un quadro abbastanza preciso dell’individuo assassinato da una freccia lassù sulle Dolomiti quasi 5.000 anni fa.
Il libro è ben strutturato, facilissimo da leggere anche per chi non conosce nulla dell’argomento, anzi, invoglia proprio il lettore a saperne di più.
Lo stile narrativo, che ricostruisce scoperte e deduzioni come un romanzo giallo, permette di capire il minuzioso lavoro degli studiosi per identificare la specie dei nostri antenati e soprattutto le cause della loro morte, come detectives alle prese con “cold case” di migliaia e milioni di anni fa.