Una teoria della gravitazione, proposta da illustri fisici, può portare a considerare il nostro universo alla stregua di un’entità biologica in evoluzione darwiniana.
Nei giorni scorsi è stato oggetto di dibattito il ritiro dell’invito a parlare alla Fiera di Francoforte a Carlo Rovelli, fisico italiano e autore di libri divulgativi.
Cosa c’entra questo fatto di cronaca con l’ipotesi, ardita e intrigante, che il cosmo possa essere paragonato a un essere vivente? Il Lavoro di Rovelli, come fisico, è anche in parte collegato e l’occasione fornita dal contesto è un’opportunità per disquisire sull’argomento.
Rovelli, infatti, si è occupato di gravità quantistica, una teoria che i fisici cercano di dipanare e inserire in una formulazione che comprenda tutte le forze della natura, in quella che è conosciuta come “teoria del tutto”, perché appunto il suo intento è unificare la spiegazione di ogni fenomeno che avviene in natura.
Assieme al collega Lee Smolin, il cui libro L’universo senza stringhe tratta proprio di questo e di cui consigliamo la lettura, ha ideato e proposto la gravità quantistica a loop, una teoria che prevede la suddivisione dello spazio-tempo in unità piccolissime (qualcosa come un millimetro diviso dieci con quaranta zeri) strutturate come anelli.
Questo potrebbe portare finalmente a poter scrivere equazioni di senso compiuto che riescono a spiegare sia l’infinitamente grande, come la struttura e le dinamiche dell’universo, sia l’infinitamente piccolo, come la fisica delle particelle sub nucleari; cosa che attualmente non è possibile fare simultaneamente con un’unica teoria e che attanaglia gli scienziati in una spasmodica ricerca da ormai quasi cinquant’anni.
Tale formulazione, secondo gli autori, dovrebbe risolvere anche il problema della singolarità all’interno dei buchi neri, un’incongruenza matematica che dà soluzioni insensate con le attuali teorie a disposizione.
Ma Smolin va oltre e avanza altre ipotesi. Come quella che un buco nero possa dare origine a un altro universo, in un processo quasi “biologico”: ogni buco nero potrebbe generare, dalla sua singolarità, un universo figlio, nel quale i buchi neri che si formano possono fare altrettanto, in una successione ramificata e ripetuta.
Questo comporta quindi una sorta di multiverso, composto da una genìa di universi tra loro imparentati, in un albero genealogico sui cui rami si prolunga la stirpe padre-figlio-nipote e così via.
Ma dove stanno ‘sti universi? E soprattutto: li possiamo vedere? Secondo l’autore sono “in una prospettiva metafisica disgiunta da ogni osservazione”; tradotto: no.
Il motivo è che gli occupanti di un universo, quali noi siamo, non possono accedere direttamente alle informazioni contenute in altri mondi paralleli.
In altre parole, un universo non può interagire con un altro, quindi l’idea di Smolin sembrerebbe una pura speculazione teorica, non dimostrabile proprio in quanto non osservabile. Ma non è proprio così.
Qui, infatti, le cose si fanno interessanti, perché secondo Smolin ci sarebbe una sorta di processo evolutivo del cosmo simile a quello biologico per gli esseri viventi, proposto per la prima volta da Darwin.
Proprio come enunciato dal naturalista inglese per gli esseri biologici, anche per l’universo – o meglio gli universi – ci sarebbe una procedura di mutazione e selezione, che segue rigorosamente uno schema logico, similmente a quanto succede in natura con le specie viventi.
Gli universi-figlio, nati da buchi neri nel nostro universo o da un altro universo-padre, sono infatti leggermente diversi dall’universo-genitore e il grado di questa mutazione influenza la selezione.
In questo caso, però, gli universi-figlio non competono per accaparrarsi le risorse come gli esseri biologici sulla Terra, ma concorrono invece per un “predominio statistico”: gli universi con caratteristiche fisiche maggiormente idonee a generare buchi neri (e quindi universi-nipote) hanno più probabilità di ricorrere statisticamente. Insomma: sono di più quelli che “figliano” di più.
Il bello di questa teoria è che anche dimostrabile da un punto di vista statistico, pur non conoscendo nulla degli altri universi che si sono ramificati da altrettanti buchi neri.
Basterebbe infatti stabilire se il nostro universo ha condizioni favorevoli per generare molti buchi neri e quindi essere avvantaggiato nel processo di selezione statistico.
Il che non è affatto semplice, ma gli astronomi da qualche anno hanno a disposizione nuovi strumenti per indagare la presenza di buchi neri nel cosmo, oltre a quelli “classici”; vale a dire i rilevatori di onde gravitazionali, che, misurando le onde prodotte dalla fusone di buchi neri, possono fornire dati per calcolare una stima della densità e popolazione di questi oggetti nel “nostro” universo.
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