Prof. Giacomo Koch, Professore ordinario di Fisiologia Università di Ferrara, Direttore Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia di Roma.

 

Le innovazioni più interessanti nell’ambito della ricerca sui disturbi della coscienza riguardano l’impiego di strumenti diagnostici avanzati in grado di scovare nei nostri pazienti quella che viene definita covert cognition, cioè residui di attività cognitive “coperte o nascoste” ad un esame solo clinico. Immaginiamo un paziente che presenti una gravissima tetraplegia, e non sia in grado di parlare o muovere le labbra e quindi non in grado, pur in presenza di un’intenzione, di comunicarla o di interagire con l’ambiente esterno.

Attraverso tecniche diagnostiche avanzate come la Risonanza Magnetica funzionale o i Potenziali Evocati evento-correlati, è possibile stimolare i pazienti con voci o racconti riconosciuti come significativi e valutare se a livello delle aree cerebrali è possibile registrare delle risposte di attivazione, anche quando queste non sono rilevabili attraverso l’osservazione clinica. È sicuramente un settore di grande interesse, insieme a quello collegato della cosiddetta “misdiagnosis” o errore diagnostico.

Il contributo italiano nell’ambito della ricerca clinica sul coma è testimoniato dalla recente nomina della Dottoressa Rita Formisano, come Presidente del gruppo scientifico internazionale su coma e disordini della coscienza insieme al norvegese Daniel Kondziella (Coma and Disorders of Consciousness Panel della società europea di neurologia, EAN).

Una candidatura sostenuta dalla Società Italiana di Neurologia con l’obiettivo di proseguire nel confronto serrato tra diversi gruppi di specialisti e ricercatori del campo a livello europeo sui percorsi diagnostici e prognostici della fase acuta e post-acuta di neuroriabilitazione di alta specialità.

Laddove il dibattito in ambito teorico tra le diverse teorie della coscienza è più che mai acceso, le neuroscienze empiriche stanno rapidamente convergendo verso l’identificazione di alcuni processi neuronali che sono clinicamente rilevanti per i disturbi della coscienza (Comanducci et al., Clin Neurophysiol 2020). Da una parte, nuovi indici di complessità cerebrale, derivati da TMS/EEG, EEG e fMRI, consentono un’accurata diagnosi e stratificazione dei pazienti, dall’altra, registrazioni intracraniche e modelli animali stanno svelando i meccanismi neuronali di perdita e recupero della complessità cerebrale.

Secondo il Prof. Marcello Massimini professore ordinario dell’Università di Milano, uno di massimi esperti a livello internazionale nell’ ambito di disturbi della coscienza, questi meccanismi potrebbero rappresentare un target aggredibile per restituire l’integrità funzionale delle reti corticali e per promuovere la neuroriabilitazione e il recupero di coscienza in pazienti affetti da gravi lesioni cerebrali. Interessante approfondire la ricerca sui sistemi talamo-corticali  e la possibile sindrome di disconnessione di diverse aree cerebrali alla base del disturbo prolungato della coscienza.

In ambito terapeutico le metodiche di stimolazione cerebrale prospettive potrebbero essere utili per accelerare il recupero funzionale dello stato di coscienza favorendo l’attivazione dei circuiti cerebrali che sono importanti per il recupero della coscienza. In particolare studi con stimolazione a corrente continua (tDCS) hanno prodotto dei dati incoraggianti.

È stato dimostrato che la tDCS applicata sulla corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra (lDLPFC) migliora la reattività comportamentale nei pazienti in stato di minima coscienza (MCS), dopo una singola stimolazione o sessioni ripetute, come misurato dal Coma Recovery Scale — Revised (CRS-R). Circa la metà dei pazienti con MCS (cioè, che mostra segni di coscienza fluttuanti ma riproducibili) sembra essere sensibile a questa tecnica, mentre nessun effetto del trattamento è stato osservato in pazienti con sindrome della veglia non responsiva (UWS, cioè che mostra solo comportamenti riflessi), anche definiti in Stato Vegetativo.

Secondo due studi recenti, la presenza di un funzionamento cerebrale residuo minimo potrebbe essere un prerequisito per beneficiare della tDCS . Un’attività metabolica più elevata, il volume di materia grigia residuo, così come una maggiore attività theta sono infatti osservati nei responder alla tDCS.

Circa la metà dei pazienti con MCS (cioè, che mostra segni di coscienza fluttuanti ma riproducibili) sembra essere sensibile a questa tecnica, mentre nessun effetto del trattamento è stato osservato in pazienti con sindrome della veglia non responsiva (UWS, cioè che mostra solo comportamenti riflessi), anche definiti in Stato Vegetativo.

 

 

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