Elaborato dopo la comparsa della SARS nel 2033. Ma l’applicazione dipende da ogni singolo Paese.

 

Da anni si facevano piani per una possibile pandemia, il timore di qualcosa di simile alla drammatica Spagnola che uccise milioni di persone negli anni finali della Prima Guerra Mondiale. Una delle più devastanti epidemie della storia. Tra il 1918 e il 1919 i morti totali sarebbero stati tra i 30 e i 50 milioni. Alla fine del 1917 è stata registrata una prima ondata in almeno 14 campi militari statunitensi in Spagna. È l’epoca della Prima Guerra Mondiale.

Stando a contatto con persone infette che starnutiscono o tossiscono è facile contrarre la malattia ed è quanto accadeva nelle tendopoli-caserma e nelle trincee. Un’influenza. E allora per non farsi cogliere impreparati, gli esperti dell’Organizzazione mondiale della salute (OMS) e dei principali Stati cardine per l’economia e la ricerca medica si sono riuniti più volte per stilare un protocollo pandemico, da far scattare ovunque nel momento dell’allerta. Protocollo poi ribadito dai ministri del G7 dopo la pandemia di Sars del 2002-2003, pressappoco comparsa sempre dalla Cina in un periodo dell’anno analogo a quello attuale del coronavirus ma con effetti nettamente inferiori a quanto sta accadendo ora.

Anche se, e questo preoccupa gli specialisti, non è stato ancora messo a punto un vaccino. Poi c’è stata l’aviaria. Comunque, come dimostrato chiaramente dall’esperienza della Sars, era attesa la prima pandemia di influenza del ventunesimo secolo. Scenario previsto: le drammatiche conseguenze economiche e sociali che vanno ben oltre l’impatto assoluto sulla salute. Di famiglia Sars è il coronavirus causa del Covid-19. Tutto scritto. Già dalla prima epidemia di Sars.

Nel 2006, 14 anni fa, si è arrivati a una prima bozza di protocollo poi diventato protocollo nell’arco degli anni successivi. Sottoscritto da tutti. Poi andava ratificato, Paese per Paese. La Germania, per esempio, l’ha ratificato e reso operativo. E subito applicato all’annuncio dell’OMS del focolaio a Wuhan. Ovviamente anche l’Italia conosce il protocollo e ha preso parte alla sua stesura. Ma poi lo ha applicato?

 

Che cosa dice il protocollo?

Lo si trova nel sito OMS. Un primo flash fa riflettere. Riguarda la preparazione ad una pandemia, da predisporre preventivamente: “… migliore accesso ai farmaci antivirali, lo sviluppo di vaccini contro la pandemia e di piani per renderli più facilmente reperibili ed economici, oltre alla progettazione di misure concrete per la salute pubblica mirate a ridurre morbidità e mortalità e allo sviluppo di piani di comunicazioni e messaggi per un maggior rispetto delle misure raccomandate in modo da ridurre i possibili danni sociali ed economici”.

 

Emerge anche la consapevolezza della sfida a un nemico che potrebbe essere in parte sconosciuto?

Certo. Ecco un passaggio illuminante: “Il contenimento di una potenziale pandemia rappresenta un tentativo nuovo: prima di ora nel mondo non ci sono mai stati preavvisi di una sua imminenza. Le sfide pratiche e logistiche sono considerevoli e non si ha garanzia di successo. Ciononostante, ci sono pressanti motivi per portare avanti una strategia di questo tipo… “.

 

Quale strategia?

In sintesi, eccone i punti chiave: la riuscita del contenimento eviterà una quantità enorme di sofferenze umane e probabilmente milioni di morti, risparmiando al contempo considerevoli danni economici e sociali in tutto il mondo; anche se gli sforzi di contenimento non dovessero in ultima analisi riuscire a fermare l’emergere di una pandemia virale conclamata, essi potrebbero comunque rallentarne la diffusione iniziale dando il tempo ai Paesi di predisporre misure di emergenza; ogni giorno guadagnato dopo l’arrivo di una pandemia virale, se rilevata rapidamente, permette di produrre circa cinque milioni di dosi di vaccino per combatterla; ogni giorno in più dà ai Paesi il tempo di adeguare i servizi sanitari di routine alla situazione di emergenza. Inoltre: avendo più tempo, l’Oms riesce a fare previsioni su modelli di ulteriore diffusione, dando allarmi adeguati; il lavoro di preparazione è di per sé un esercizio importante che aumenta l’interazione tra Oms e comunità internazionale da un lato e i Paesi dall’altro, rafforzando le capacità fondamentali nei Paesi in questione; la formazione necessaria, gli accordi e il coordinamento a livello nazionale e internazionale, oltre allo sviluppo di scorte, protocolli e procedure operative standard contribuiranno notevolmente a consolidare la capacità della sanità pubblica.

 

La strategia di contenimento rapido si basa su varie considerazioni. In realtà così come nel caso di questa pandemia non è mai stata applicata. Quale obiettivo?

Il protocollo del 2006 ipotizzava una probabile pandemia influenzale causata da un nuovo virus dell’aviaria. Ma sempre virus che fanno il salto di specie: da animale ad animale, da animale a uomo e, infine, da uomo a uomo. In realtà sono proprio aviaria, Sars, suina le grandi paure dell’OMS.

 

Una strategia per prevenire l’ulteriore aggravamento di una situazione minacciosa. Come si è arrivati a pianificare un contenimento rapido?

Nel 2003 la risposta globale alla Sars ha dimostrato ancora una volta la forza di un’azione rapida, coordinata ed efficace a livello nazionale e internazionale nel deviare il corso naturale di una malattia, evitando che il coronavirus della Sars assumesse proporzioni endemiche. Nel 2005 poi due diversi gruppi scientifici hanno pubblicato risultati di studi epidemiologici da cui si evince che l’uso di farmaci antivirali per la profilassi e il trattamento, in combinazione con altre misure tra cui la limitazione del movimento delle persone e il distanziamento sociale, avrebbero potuto fermare l’ulteriore evoluzione o diffusione di una pandemia virale emergente in certe circostanze e sempre che si rispettino precise condizioni. Quindi, il contenimento precoce di una pandemia virale emergente costituisce un’opportunità di fermare o ritardare un evento che si prevede possa avere gravi conseguenze sulla salute e sull’economia globale. “Tale opportunità – scriveva il documento OMS del 2006 – merita di essere sfruttata anche se non vi sono garanzie di successo”.

 

E così è stato. Ma se gli interventi previsti non sono messi in atto con rapidità, si hanno molte meno possibilità di riuscita. Quindi?

“Sviluppare, mediante un approccio internazionale coordinato, la capacità di rilevare con rapidità, valutare, rispondere e, se possibile, contenere i primi segni dell’arrivo di una pandemia virale”, scrive l’OMS. Concetto generale: i Paesi saranno incaricati di condurre azioni di sorveglianza per identificare segnali della diffusione di un nuovo virus influenzale da persona a persona, dando quindi avvio all’intervento. Tra i potenziali segnali si annoverano la presenza di un virus con specifici caratteri genetici, il rilevamento di determinati modelli epidemiologici, oppure una combinazione imprevista di esiti da prove di laboratorio ed epidemiologiche. In linea con i requisiti definiti nei Regolamenti sanitari internazionali (2005), il paese è tenuto a riferire l’evento all’OMS entro ventiquattro ore. Ricevuta la comunicazione, l’Organizzazione provvederà a valutare sollecitamente la situazione con tutti i mezzi necessari, compresi colloqui urgenti con il Paese in questione ed esperti esterni e partner nel settore, oltre che tramite consultazione con la Task Force Pandemia dell’OMS. Nel caso del coronavirus, la Cina – e non è la prima volta – non ha segnalato subito il nuovo virus. E questo ha ritardato le misure di contenimento e favorito la prima fase di diffusione.

 

Quali le responsabilità primarie degli altri Paesi e dell’OMS?

I vari Paesi hanno il compito di riportare tempestivamente tutti i segnali, mobilitare personale locale e fornire altro sostegno, compreso il rispetto della legislazione nazionale, per facilitare le attività di risposta o di contenimento rapido, oltre che di condurre sorveglianza attiva per monitorare la situazione. L’OMS è responsabile della mobilitazione e del coordinamento di tutto il supporto internazionale e regionale verso il Paese colpito, compreso personale, esperienza e scorte di farmaci antivirali e altre forniture, come per esempio attrezzatura protettiva individuale. Gli altri partner dovranno fornire sostegno, compresa la fornitura da scorte, a seconda delle necessità in base alle direttive e al coordinamento dell’OMS. Autorità nazionali e OMS coordinano insieme tutte le attività di contenimento prima entro il Paese colpito poi via via verso gli altri se l’epidemia si trasforma in pandemia. Nel caso del Covid-19 tutto è stato più lento del dovuto e anche le autorità nazionali non hanno seguito all’unisono il protocollo, ma ognuno ha operato a modo suo. In materia di comunicazione, i vari Paesi hanno responsabilità separate per quanto riguarda i rapporti con i media.

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