Per la scienza non sarebbe la misura chiave per contrastare il virus.
Finora il lockdown sembrava l’unica certezza operativa rispetto a una pandemia virale globale da libri di Storia, la prima del Terzo millennio da lasciare il segno sulla salute e l’economia dell’umanità, con cicatrici che dovranno far rivedere molte delle sicurezze dell’economia, della politica, della scienza. E ora anche questa certezza viene messa in discussione dalla scienza stessa.
Per l’esattezza non il lockdown di per sé, ma la sua durata. Perché?
Lo direbbe un modello previsionale sull’andamento del Covid-19 realizzato da un team internazionale di epidemiologi italiani, spagnoli e tedeschi, con a capo un italiano. Sarà pubblicato dalla rivista scientifica internazionale Allergy, ma è stato anticipato dal Corriere della Sera. Che cosa dice? Dall’analisi dei dati italiani, e da una comparazione più dettagliata tra Italia, Germania, Spagna e Stato di New York, si deduce che “i tempi e la portata di diffusione del morbo sono praticamente sempre gli stessi ovunque, indipendentemente dalle misure adottate (ovviamente se la curva resta identica nella forma, il valore assoluto dipende dalla portata dell’infezione all’inizio del ciclo). Di conseguenza, è la tesi del team di scienziati contano solo le regole di base (distanziamento) e non le misure più o meno restrittive”. Sarebbero solo i primi 17 giorni successivi all’applicazione delle misure di contenimento a determinare l’entità della diffusione del contagio nella pandemia di Covid-19, che “sembra dipendere esclusivamente dai focolai divampati nei primi giorni (come quello successo all’ospedale di Codogno o la partita Atalanta–Valencia) e non dalle differenze nel rigore del lockdown”. Di conseguenza, qualsiasi misura restrittiva applicata oltre i primi 17 giorni (come la chiusura delle industrie o i divieti alla libertà di movimento dei cittadini) inciderebbe poco o nulla sull’andamento dei contagi e sul numero finale delle vittime.
Quindi, dopo i primi 17 giorni ciò che è fatto è fatto?
Non tutti sono d’accordo, però. Anche perché quei 17 giorni sarebbe stato utile applicarli ovunque, senza distinzioni temporali, e in parallelo al momento dell’allarme pandemia. Caso mai, corretta l’analisi sul rigore del lockdown. Non è detto che chiudere l’attività industriale sia stato positivo, forse era meglio lasciare in funzione le industrie applicando rigide regole di protezione e distanziamento sociale.
Però, a parte le industrie, nei Paesi presi in esame per la comparazione non è vero che non vi siano state limitazioni alla libertà di movimento dei cittadini. O ci sbagliamo?
Vero. Sono state rigide in Germania, per bar e locali e attività fisica all’aperto, semirigide in Spagna, molto rigide a New York City (praticamente vuota e percorsa solo dalle auto della polizia).
Ma in Italia è stato rigoroso, eppure i numeri hanno fatto difficoltà a scendere dopo i primi 17 giorni. Come mai?
Perché in realtà il rigore non è stato uniforme, in Lombardia per esempio dietro autocertificazione certe aziende hanno continuato a lavorare. Non è stato lo stesso nel resto d’Italia. In tutto il mondo gli anziani contagiati non sono stati rimandati nelle comunità, o lasciati lì come accaduto negli Stati Uniti all’inizio laddove sono partiti i focolai. Non ospedalizzati, se non gravi, ma assistiti a casa in isolamento. E per chi non ha più una casa, in reparti ospedalieri protetti, come fatto in Germania e nel resto del Nord Europa.
Quale altro punto andrebbe approfondito?
Il numero dei casi confermati, dei morti, delle cause. Il numero dei contagiati asintomatici. In Italia, per esempio, i tamponi sono stati fatti solo in ambito ospedaliero. E così anche in altre parti del mondo. Ora la Cina, per esempio, ha rivisto tutti i numeri: praticamente raddoppiandoli nei contagi e nei morti. Gli Stati Uniti all’inizio non hanno fatto tamponi quasi a nessuno, se non ai ricoverati in terapia intensiva. E questo spiega in parte l’esplosione numerica successiva. Oltretutto, negli Stati Uniti a differenza del resto del mondo c’è un’alta mortalità tra gli afro-americani. E questo è strettamente legato allo status sociale dei colpiti. Gli immigrati di origine africana in Italia risultano lontanissimi dai numeri americani perché in Italia c’è una sanità universalistica come in uno Stato americano, il Massachusetts (capitale Boston), dove c’è una sorta di sanità universalistica all’americana e dove ci sono le sedi universitarie e di ricerca biomedica tra le più prolifiche degli States.
L’esempio tedesco. Quale il lockdown adottato?
Dal 20 aprile la Germania avvia la fase 2. Le misure restrittive messe in campo da Berlino hanno dato i propri frutti con il Governo che è pronto ad allentare il lockdown visto che il famoso indice di contagio R0 è sceso sotto la soglia di uno. Obiettivo raggiunto agendo su due voci: sanità e massima precauzione. Sono queste le armi messe in campo dalla Germania in questa lotta al coronavirus. Le fabbriche, infatti, non hanno mai realmente chiuso con le aziende lasciate libere di continuare il proprio lavoro oppure di applicare lo smart working. Per il resto lockdown con scuole, locali, ristoranti, bar, alberghi e bordelli chiusi. Niente manifestazioni pubbliche (divieto prorogato fino al 31 agosto), niente funerali e messe, un massimo di 2 persone insieme durante le uscite da casa. La riapertura sarà graduale. I negozi fino a un massimo di 800 metri quadri potranno riaprire rispettando le misure del distanziamento sociale. Da oggi, lunedì 20 aprile 2020, si ritorna a scuola mentre continueranno ad essere vietati tutti gli eventi pubblici fino al 31 agosto. Le aziende continueranno, con la scelta che spetta alle singole imprese. Il calcio dovrebbe ripartire anche se a porte chiuse. Le squadre si stanno allenando ormai da diversi giorni e la ripresa dovrebbe avvenire nei primi giorni di maggio.
L’Islanda invece è esempio mondiale per le misure adottate. Quali?
L’Islanda è diventata un “caso scuola” per la strategia anti pandemia. Il Paese conta 364.000 abitanti e anche per questo è stato possibile portare avanti un esperimento i cui risultati (anticipati dal Corriere dello Sport) sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicin. Tutto è iniziato il 31 gennaio, quasi un mese prima che il primo malato islandese di coronavirus si palesasse. I programmi di test a campione sono stati due. Il primo ha riguardato quelle persone che erano giunte nel Paese provenienti da zone sospette: Cina innanzi tutto ma anche Austria, Italia, Svizzera, Gran Bretagna. In tutto 9000, di questi a fine marzo ben il 13,3% aveva contratto il virus. Il secondo programma si è avviato il 13 maggio, ha riguardato gli “stanziali” ed ha dato risultati assai più confortanti: i sintomatici sono risultati meno dell1%. Nel complesso, in Islanda 36.000 persone hanno fatto il tampone (e di queste il 43% non aveva sintomi): il 10% della popolazione. A cosa è servito questo test di massa? A identificare i malati asintomatici, a rintracciare i loro contatti, a garantire quarantene mirate senza che il virus fosse portato in famiglia. L’Islanda non ha praticato un lookdown esasperato (asili e scuole primarie, ad esempio, sono rimaste aperte) e già sta programmando la riapertura per il 4 maggio. In percentuale non ha avuto pochi contagi (1.768 casi) ma ha avuto pochissimi morti: soltanto 8. Insomma, OMS conferma, la strada indicata dalla piccola Islanda è quella giusta. Ovviamente, oltre alla Corea del Sud e alla zona del Comune di Vò in Veneto, di cui abbiamo spesso già parlato.
E la Gran Bretagna come ha agito?
Da un avvio blando a un lockdown rigido, attualmente prolungato fino a metà maggio, ma con attività industriale come in Germania. Il lockdown è rigido anche per la famiglia reale. Fissata per novembre 2020, la Cop26 è appena stata rinviata al 2021 per l’emergenza Covid-19, mentre nel Glasgow Scottish Events Campus (SEC) sede prevista per il summit sul clima adesso si sta allestendo un ospedale da campo. Come quelli già inaugurati a Londra all’Excel Center dal principe Carlo, e a Birmingham dal principe William. Insomma, nella terra dei big dell’epidemiologia il distanziamento sociale è l’arma adottata e per ora per più tempo di altri.
Chi ha adottato misure di lockdown nazionale?
L’ultimo Paese è stata l’India, con il suo miliardo e trecento milioni di persone, mentre l’Egitto sempre i primi di aprile, ha annunciato un coprifuoco serale e notturno per due settimane. In totale sono più di 2,6 miliardi le persone a cui è stato imposto di rimanere a casa nel mondo. E questo a prescindere dallo studio dei 17 giorni. A chi è stato chiesto cosa ne pensa la risposta è indicativa: “Interessante, ma meglio non rischiare”.
Quale la situazione riguardo alla libertà di movimento degli abitanti nei vari Paesi?
Europa. Dai primi di aprile. Nel Regno Unito: stop agli esercizi commerciali non essenziali e vietate le riunioni in pubblico di più di due persone, con multe da 30 sterline ai trasgressori. Lockdown blando ma lungo in Grecia, mentre Berlino è riuscita anche ad allineare i 16 Länder con una stretta univoca sulla vita pubblica dei tedeschi. La Spagna ha prorogato per ben due volte lo stato di allarme e la conseguente serrata. La Francia, che il 15 marzo aveva permesso lo svolgimento delle elezioni amministrative, dai primi di aprile ha imposto le maniere forti, invitando tutti a restare a casa se non per necessità urgenti. La Danimarca ha prolungato le misure di lockdown fino a fine aprile. E in lockdown sono anche Repubblica Ceca e Canton Ticino. In Belgio sono vietati gli spostamenti della popolazione verso le seconde case sia all’interno del territorio sia verso l’estero. L’Olanda ha chiuso gli esercizi commerciali (case chiuse e coffee shop inclusi) senza imporre però un lockdown totale appellandosi alla teoria dell’immunità di gregge. In Serbia c’è il coprifuoco dalle 17 alle 5.
Asia. In India è in atto un lockdown nazionale di 3 settimane. In Pakistan è stato imposto solo nella regione più colpita, quella meridionale di Sindh. In Iran sono chiusi centri commerciali, negozi e bazar. L’Iraq è in lockdown da metà marzo e nel nord della Siria, sotto il controllo delle forze curdo-siriane, è entrato in vigore il coprifuoco sempre a metà marzo. Nelle Filippine c’è il coprifuoco a Manila e il governo ha dichiarato uno stato di calamità nazionale di sei mesi. La Thailandia, che aveva già chiuso le scuole, a metà marzo ha proclamato lo stato d’emergenza con il blocco degli spostamenti e multe per i trasgressori. In Giappone, invece, si alterano riaperture e richiusure dei parchi giochi. Mascherine, guanti e distanziamento per strada obbligatori.
Stati Uniti. Negli Usa sono adesso una quindicina gli Stati che hanno imposto il lockdown: gli ultimi sono Washington, Oregon, Michigan, Indiana, Massachusetts, Wisconsin, Delaware e New Mexico. In totale sono oltre 150 milioni gli americani in lockdown, ossia più della metà della popolazione americana. Libertà di decisione per Stati e industrie (se ne assumono le responsabilità).
Canada. Nessun limite alla circolazione delle persone. Solo raccomandazioni e consigli. In alcuni Stati restrizioni sugli assembramenti.
Sud America. El Salvador ha ordinato alla popolazione un periodo di isolamento obbligatorio a casa di 30 giorni. In Ecuador vige lo stato di emergenza con il coprifuoco dal 5 di marzo.
Africa. In Senegal, stato d’emergenza con il coprifuoco notturno. In Sudafrica, lockdown, con l’esercito nelle strade per garantire il rispetto della misura. Stato di emergenza e isolamento anche in Costa d’Avorio. In Tunisia è stata disposta una quarantena generale oltre al coprifuoco notturno. In Libia, coprifuoco totale 24 ore su 24 appena terminato.
Oceania. L’Australia ha chiuso pub, ristoranti, club, cinema, casinò e luoghi di culto: restano aperti i supermercati e non è stata disposta la chiusura delle scuole a livello nazionale ma alcuni Stati lo hanno fatto. La Nuova Zelanda uscirà la prossima settimana da un mese di lockdown.