Studi dimostrano che è portatore di ceppi di coronavirus simili a quello della pandemia.

 

L’untore potrebbe essere proprio lui, il pangolino. Lo afferma un articolo appena pubblicato su Nature: in alcuni esemplari contrabbandati sono infatti state trovate delle similarità con il Sars-CoV-2.

Tuttavia al momento non sono ancora sufficienti per poter dichiarare con certezza che l’animale è il serbatoio dove il virus è mutato e si è trasferito poi nell’uomo. Lo studio però identifica il pangolino come il secondo mammifero, dopo il pipistrello, a poter ospitare ceppi di coronavirus. Abbastanza, quindi, per pretendere di proibire il commercio di tale specie al più presto.

Purtroppo la chiusura del mercato del pesce di Whuan dopo l’esplosione dell’epidemia in città ha impedito di cercare altri eventuali animali portatori dei coronavirus e nello specifico del nuovo ceppo pandemico. I sospetti però si addensano sempre più sul pangolino, venduto illegalmente sia come alimento sia perché usato nella medicina tradizionale, dove le sue scaglie sono ritenute a torto curative.

Studiosi cinesi hanno analizzato 18 pangolini malesi sequestrati tra agosto 2017 e gennaio 2018 in operazioni anticontrabbando nel sud della Cina e in cinque di questi hanno trovato coronavirus simili a quello attuale.

In altri 3 esemplari su 12 provenienti da un’altra provincia cinese sono stati isolati virus simili tra l’85% e il 92% al Sars-CoV-2. Ma in tutti gli animali esaminati finora manca una specifica alterazione nella sequenza del virus che invece è propria di quello che infetta gli umani.

Anche se quindi non c’è una prova schiacciante ad inchiodare i pangolini, resta però evidente che possono essere infetti con atri tipi di coronavirus che in futuro potrebbero causare problemi anche all’uomo.

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