Un team di ricercatori dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con l’Università di Cambridge, ha dato una nuova identità a sei dei venti scheletri ritrovati nell’area della Civita di Tarquinia, le cui caratteristiche si differenziano molto dalle abituali sepolture in necropoli, grazie a una inedita combinazione di ricerche statistiche, umanistiche, archeologiche e naturalistiche messe a sistema tra di loro.
Sono stati trovati sepolti all’interno della città anziché nella necropoli, inumati e non cremati. Il luogo e il tipo di sepoltura in area sacra ha reso il rinvenimento di venti scheletri nella Civita di Tarquinia (VT) di grande interesse culturale e storico per la civiltà etrusca.
Un team di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Cambridge, riuniti nel progetto Science@Tarquinia coordinato da Giovanna Bagnasco Gianni, docente di Etruscologia della Statale di Milano, direttrice delle ricerche, e da Simon Stoddart, docente dell’Università di Cambridge che ha a sua volta coordinato la parte delle ricerche di laboratorio naturalistiche (archeobotaniche, geologiche, isotopiche, cronologiche, DNA antico).
Entrambi sono corresponding authors dell’articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports – Nature che dà conto della ricerca condotta insieme con altri studiosi e laboratori internazionali su sei scheletri risalenti al IX-VII sec. a.C.
Attraverso l’analisi osteologica e altri esami scientifici, questi “sei personaggi in cerca d’autore” hanno raccontato se stessi e la loro vita. Per questo il titolo dello studio, “Bioarchaeology aids the cultural understanding of Six Characters in Search of their Agency (Tarquinia, ninth – seventh century BC, central Italy)”, è un omaggio a Pirandello.
Lo studio parte da una serie di domande: perché questi individui sono stati sepolti in un’area sacra della città, quando la cremazione era la pratica funeraria normale nella necropoli?
Perché tutti gli scheletri condividevano la stessa pratica di inumazione e commemorazione? C’erano altre caratteristiche che li accomunavano? Tutti questi individui provenivano da Tarquinia? Si trattava di persone locali o straniere?
Per rispondere si è seguita una metodologia innovativa che coniuga la tradizione umanistica con l’analisi statistica propria della ricerca scientifica.
Si tratta di un tipo di ricerca integrata particolarmente importante per la cultura etrusca preromana, priva di fonti storiche dirette, per la quale è diventato necessario fare luce sugli aspetti della vita delle comunità in modo da comprenderne meglio i risvolti culturali, religiosi e sociali nel loro divenire storico.
Sono state avviate una serie di ricerche interdisciplinari, archeologiche e naturalistiche, messe in dialogo tra loro.
In primo luogo ci si è potuti avvalere di una solida cronologia (grazie all’analisi del radiocarbonio integrata dall’indagine archeologica e dall’analisi bayesiana) che ha permesso di agganciare ognuno degli scheletri studiati alle fasi di attività dell’area sacra ricostruite dagli archeologi nel corso del tempo e ampliarne così la portata di significato.
Poi un’analisi osteologica dettagliata, ottenuta attraverso gli strumenti della scienza forense e della paleopatologia (analizzati nel LABANOF -Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano, diretto da Cristina Cattaneo, docente di Medicina Legale dell’Ateneo), ha rivelato lo stato di salute degli inumati e la presenza di violenza, distinguendoli nettamente, anche da questo punto di vista, dalle sepolture standard del periodo.
Una grande sorpresa è arrivata inoltre dalle analisi sul DNA antico, preservatosi in ben cinque casi su sei, che hanno rilevato la presenza di un individuo femminile proveniente dalle zone baltiche.
È questa la prima evidenza concreta di un alto livello di mobilità riguardante individui provenienti da quelle zone e non solo prodotti e materie prime, come riscontrato per esempio nel caso ben noto dell’ambra.
Diverse analisi di tipo chimico, infine, hanno contribuito a definire sia gli aspetti legati alla dieta di queste persone sia la loro mobilità e regime di vita.
I risultati permettono di confermare che questi individui sono stati trattati in modo speciale, non solo per le pratiche di sepoltura, ma anche per motivi biologici: sembrano essere stati visibilmente diversi dal resto della comunità, se non altro per quanto riguarda le circostanze di vita e di morte e di conservazione del corpo per perpetuarne la memoria.
“L’eccezionalità di queste sepolture e la loro memorabilità nel ‘complesso monumentale’ contribuiscono a qualificarli come individui selezionati ai fini dello svolgimento di rituali volti a consolidare il senso di appartenenza della comunità. Il luogo corrisponde infatti a un punto del Pianoro della Civita la cui importanza è di per sé evidente nel dato archeologico, come risulta dagli scavi iniziati nel 1982 dalla professoressa emerita del nostro Ateneo Maria Bonghi Jovino e da quelli ora in corso” ha dichiarato Giovanna Bagnasco Gianni d’accordo con Simon Stoddart che conclude:
“Ulteriori ricerche cercheranno di scoprire se questi individui condividono le medesime caratteristiche con gli altri scheletri sepolti del complesso monumentale e in che misura differiscono dalla grande maggioranza della comunità”.