Una erronea ma popolare interpretazione di un’equazione formulata negli anni ’30 dal fisico Paul Dirac ha portato molte persone a commettere uno sbaglio veniale. Ma che significa veramente questa formula e come è collegata alla diagnostica PET?

 

Qualche anno fa spopolava la formula che vedete nell’immagine, chiamata erroneamente “l’equazione della felicità”, tanto che molte persone se la sono addirittura fatta tatuare sul corpo.
Non sapendo che con la felicità non c’entra proprio nulla.
L’equivoco nacque per una interpretazione completamente errata del suo significato, diventata virale in rete e quindi “mitologica”.
Infatti l’errata leggenda urbana voleva che essa fosse l’equazione che descrive il famoso “entanglement”, ossia “l’intreccio” quantistico di due particelle, il principio fisico che le lega assieme indissolubilmente, anche se vengono separate tra loro a distanze siderali.
Comprensibile che, a causa di tale errata interpretazione, diventò la metafora della “formula matematica dell’amore”, che persiste anche se gli amanti sono sottoposti a separazioni e distanze.
In realtà, questa formula è nota come equazione di Dirac e non c’entra nulla con l’entanglement (e quindi con l’amore e la felicità), bensì ha a che fare con speciali particelle, quelle dell’antimateria.
Indica infatti che per ogni particella di materia ne esiste una identica, costituita però di antimateria.
Ma che cos’è quest’ultima? Semplicemente è materia con la stessa massa ma con carica elettrica opposta.
E dove la troviamo questa antimateria? Nel nostro universo, costituito solo da materia, ha vita breve: quando si crea una particella di antimateria, essa si annichila subito con la sua corrispondente naturale, e il fenomeno produce un breve lampo di raggi gamma.
Che ce ne facciamo allora dell’antimateria? È utilissima: per esempio per rivelare tumori altrimenti non rilevabili.
La PET (tomografia a emissione di positroni) la impiega a questo e altri scopi di diagnostica medica.
Funziona così: al paziente viene iniettato un liquido di contrasto radioattivo che si lega agli zuccheri nei tessuti.
Questo liquido poi decade emettendo positroni (particelle di antimateria identiche agli elettroni ma con carica positiva anziché negativa).
I positroni incontrano quasi subito elettroni e si annichilano, emettendo due lampi di raggi gamma in direzioni diametralmente opposte.
Lo scanner PET raccoglie questi raggi e crea così un’immagine 3D delle strutture interne del corpo del paziente, dove si è depositato il liquido radioattivo che ha emesso i positroni.