Come funziona e di cosa si occupa il nuovo incubatore nelle Scienze della Vita nell’area milanese MIND – Milano Innovation District.
Occupa circa 2.500 mq di spazi tra uffici corporate, uffici per i partner strategici, per le startup del network e per i laboratori di ricerca condivisi, allestiti per accogliere e facilitare i nuovi progetti di ricerca.
Oggi Bio4Dreams ha assunto una posizione di rilievo all’interno del panorama dell’innovazione nazionale e internazionale con 11 sedi nazionali, 6 hub di riferimento internazionali, più di 1.200 progetti analizzati, 38 startup incubate e 12 partecipate.
Abbiamo chiesto a Fabio Bianco, CSO di Bio4Dreams e Elisabetta Borello, Co-founder, VP Strategy & External Relations di Bio4Dreams di raccontarci cosa offre questo incubatore alle aziende e startup che si rivolgono a Bio4Dreams per realizzare i loro progetti scientifici.
“Nel nostro incubatore lavoriamo a tutto tondo intorno alla startup, alla quale offriamo una serie di servizi tra i quali c’è anche l’accesso a delle Infrastrutture tecnologiche che sono appunto i laboratori condivisi, divisi per funzione, dove sono disponibili gli strumenti di base necessari al singolo scopo”.
“Stiamo costruendo anche una serie di partnership strutturate con dei player industriali che possono offrire quelle tecnologie particolarmente complesse che in ogni caso non potrebbero essere messi a disposizione del singolo utente perché appunto richiedono un expertise particolare”.
Cross contamination e fertilization
“I membri del nostro ecosistema ricevono a 360 gradi quello di cui hanno bisogno. Uno dei punti di forza, secondo noi, è che le singole Startup possono entrare in contatto con le altre competenze che ci sono all’interno. Ognuno mantiene la proprietà dei propri dati e ovviamente la segretezza sulla propria attività, però viene facilitata anche l’interazione tra aziende che spesso porta a competenze complementari e di cross contamination, sicuramente favorendo l’interazione tra i vari gruppi e questo accelera poi lo sviluppo dei progetti”.
“Spesso, ma lo vediamo anche con tutto il mondo del Digital terapeutics, le nuove soluzioni di prodotti e di prodotti di servizi legati alle scienze della vita sono un mix tra mondi totalmente diversi per cui vediamo sempre di più progetti che nascono da competenze abbastanza trasversali”.
“Cito l’intelligenza artificiale che oggi serve sia nella medicina di precisione sia in altri ambiti legati allo sviluppo di nuove terapie, per cui sicuramente cerchiamo di facilitare anche l’interazione tra queste diverse competenze”.
Quali sono gli ambiti di cui attualmente si stanno occupando i vostri clienti?
“Lavoriamo con startup che si occupano delle principali tematiche di attività di scienze della vita, quindi dai terapeutici a diagnostici a dispositivi medici all’intelligenza artificiale applicata alle scienze della vita; se dovessi identificare delle aree sulle quali attualmente non siamo particolarmente attivi, probabilmente sono le terapie cellulari per una questione anche di strutture sanitarie”.
Mediamente quanto dura un progetto di un vostro cliente? Per quanto tempo utilizza i laboratori?
“Al contrario di quello che succede negli incubatori classici, chiamiamoli così, dove sostanzialmente il periodo di locazione è triennale per una banalissima questione di ritorno sull’investimento, noi non abbiamo questo tipo di vincolo. Primo, perché non abbiamo sicuramente dei contratti di locazione e quindi la startup accede a quello che gli serve quando gli serve e poi perché Le startup sviluppano prodotti che hanno tempistiche dettate dai processi regolatori”.
“Un diagnostico ha tempi sicuramente ridotti rispetto a un terapeutico o rispetto a un dispositivo medico e la necessità delle startup è quella di venire nei laboratori per fare le validazioni per lo sviluppo”.
“Direi che è difficile che una startup entri nel laboratorio per meno di sei mesi, questo perché bene o male i tempi di validazione sono questi però non c’è una regola assolutamente”.
Ultimamente la tendenza anche delle grandi aziende multinazionali, non è più quella di fare ricerca sviluppo al loro interno, bensì di comprare brevetti da piccole realtà. Qua è il ruolo del vostro incubatore in questo processo?
“C’è un tema legato all’Open Innovation dei grossi gruppi industriali che sempre di più non fanno ricerca al loro interno, ma Acquisiscono brevetti o asset da piccole startup”.
“C’è sempre di più la tendenza a comprare ricerca piuttosto che svilupparla al proprio interno. Questo è un po’ in tutti gli ambiti, quindi non soltanto nel classico farmaceutico, ma anche nell’ambito dei dispositivi medici e quant’altro”.
“Noi stiamo vedendo una cosa particolare, cioè stiamo vedendo che intorno agli share Dream si sta creando un ecosistema di Player industriale interessati, non tanto a venire a fare shopping di iniziative perché spesso le startup non sono ancora pronte per essere acquisite o per fare partnership strutturali. Ma le aziende vengono da noi perché vedono in questo lavoro di filtro sull’innovazione, che noi facciamo, un punto di fatto importante: da una parte vedere che cosa sta arrivando, quindi avere una visione sull’innovazione che sta arrivando, dall’altra per mettere a disposizione le proprie competenze i propri asset proprio per facilitare l’accelerazione di questi progetti”.
“Negli ultimi sei mesi qui al Mind abbiamo sviluppato una serie di iniziative con Player industriali alcuni sono in fase di lancio proprio in questi giorni, ma posso ad esempio citare delle piattaforme messe a disposizione per accelerare lo sviluppo di dispositivi medici. Ecco vediamo un interesse importante da parte dell’Industria nel cercare di interagire con questo ecosistema che si sta sviluppando”.
“Quindi in sintesi c’è una tendenza a non fare più ricerca all’interno a guardare cosa succede nell’ecosistema dell’Innovazione e noi stiamo vedendo un interessamento da parte di divere realtà”.
Invece qual è il vostro rapporto con gli enti accademici o in generale con gli enti istituzionali?
“Per accademici, intendiamo un po’ tutto il mondo della quindi l’università, quindi Miur ma anche il Ministero della Salute e gli IRCCS pubblici sono degli importanti Hub di innovazione e anche degli importanti Hub di expertise: vediamo questi centri di ricerca come degli ottimi generatori di idee”,
“ Noi abbiamo 11 sedi in Italia e abbiamo diversi sedi anche nell’est Europa e non c’è nessuna di queste sedi che non abbia un fortissimo rapporto con gli enti di ricerca locali”.
“Partecipiamo in maniera strutturata ai programmi di accelerazione di questi enti, lavorando insieme sui progetti imprenditoriali da Università di Padova a Genova, Trieste a Milano. Insomma, bene o male siamo presenti su tutti i tavoli nazionali, dove si fa trasferimento tecnologico dove si interagisce con l’industria e con l’accademia per cercare di in qualche modo facilitare questa trasferimento di innovazione dall’università verso il mercato”.
In particolare nella vostra sede di Milano quali sono le strumentazioni a disposizione?
“Abbiamo 15 laboratori di ricerca condivisi come spazio; è chiaro che il vantaggio non è avere una due macchine qui a disposizione, ma avere i principali centri di genomica con tutta la radio informatica associata a disposizione delle startup; in Ungheria abbiamo oltre 50 stampanti 3D, per cui cerchiamo di ottimizzare al meglio le strutture che già esistono”.
“Quello che serve alla base delle tecnologie è a disposizione, poi per tutto quello che riguarda macchinari più performanti stiamo cercando di siglare degli accordi con dei Player di riferimento internazionale affinché posizionino qui le loro tecnologie”.
“Crediamo che la tecnologia di per sé non sia importante quanto le competenze per fare funzionare e soprattutto la disponibilità e l’accesso all’innovazione che emerge”.
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