I laboratori si affrettano a studiare il coronavirus negli animali transgenici.
Mentre il coronavirus contagia tutto il mondo, una città assonnata sulla costa frastagliata del Maine è diventata un centro chiave negli sforzi dei ricercatori per combattere la malattia, nota come Covid-19. Il Jackson Laboratory, un laboratorio fattoria dove si allevano topi transgenici, è impegnato nella produzione di topi modificati in chiave coronavirus, cioè in grado di aiutare gli scienziati a comprendere i meccanismi di azione del nuovo virus e i suoi punti deboli.
“Siamo stati sopraffatti dalle richieste”, afferma Cathleen Lutz, neuroscienziata che dirige la mouse farmer. La struttura ha già ricevuto ordini da circa 50 laboratori per oltre 3.000 topi in grado di produrre una versione umana della proteina ACE2, che il virus che causa l’epidemia, il SARS-CoV-2, utilizza per entrare nelle cellule e infettarle. I topi normali, invece, sembrano essere resistenti alle infezioni da questo virus.
I ricercatori stanno anche testando, nonostante gli animalisti alle costole, scimmie, topi e persino furetti per rispondere a domande chiave su Covid-19 e per accelerare potenziali farmaci e vaccini per farli giungere prima a studi clinici sull’uomo.
I primi risultati stanno già arrivando: un team in Cina ha studiato l’infezione in scimmie e topi che hanno il gene umano ACE2. I laboratori che lavorano sui furetti affermano che presto dovrebbero avere anche loro i primi risultati: un team dell’Australian Animal Health Laboratory a Geelong ha scoperto che gli animali sono sensibili alla SARS-CoV-2. I ricercatori stanno ora studiando il corso dell’infezione, prima di testare potenziali vaccini. I furetti sono un modello popolare per l’influenza e altre infezioni respiratorie perché la loro fisiologia polmonare è simile a quella umana e i ricercatori sperano che imiteranno gli aspetti di Covid-19 nelle persone, come la sua diffusione nelle cellule polmonari.
Ma nessun modello animale è perfetto. “Ci sarà bisogno non solo di un modello animale, ma multiplo”, dice David O’Connor, un virologo dell’Università del Wisconsin-Madison. Scimmie e topi raccontano ai ricercatori aspetti diversi sull’infezione, facendo luce su fattori come il ruolo del sistema immunitario o la diffusione del virus. Per questo occorre lavorare con un modello multiplo. “Possiamo provare a imparare il più rapidamente possibile e integrare quanto apprendiamo con quanto emerge dalla clinica”, afferma O’Connor.
O’Connor e il collega virologo dell’Università del Wisconsin Thomas Friedrich fanno parte di una fitta rete di circa 60 scienziati che stanno condividendo i dettagli dei loro sforzi per studiare l’infezione nei primati e in altri animali. I due stanno iniziando una sperimentazione sul contenimento del contagio nelle scimmie, cosa che faranno con i loro colleghi di un laboratorio specializzato in contagi presso l’Istituto nazionale americano di allergie e malattie infettive a Frederick, nel Maryland.
Sono stati convinti dai primi dettagli degli esperimenti su primati non umani infetti da Covid-19, riportati online il 27 febbraio. Si tratta di una ricerca condotta dal virologo Chao Shan dell’Istituto di Virologia di Wuhan che ha scoperto che i macachi rhesus infettati dal coronavirus avevano una malattia abbastanza lieve. Nessuno ha sviluppato febbri, ma i raggi X dei polmoni hanno mostrato segni di polmonite simili a quelli nell’uomo con Covid-19. Hanno monitorato due animali per tre settimane: le scimmie hanno perso peso, ma non hanno mostrato altri sintomi gravi. All’autopsia sono stati evidenziati i segni di una polmonite.
Il fatto che le scimmie sembrino sviluppare sintomi da Covid-19 simili a quelli umani ma in forma più lieve è un aspetto importante, afferma O’Connor. Per trovare modelli migliori per le infezioni umane più gravi, i ricercatori dovranno esaminare diversi animali e variare altri fattori sperimentali, come la via attraverso la quale viene somministrato il virus, aggiunge.
Ma poiché le scimmie hanno sistemi immunitari simili agli umani, saranno utili per testare come i nostri organismi affrontano il virus. Ci sono evidenze che la risposta immunitaria può favorire e peggiorare alcune malattie, come l’influenza e la sindrome respiratoria acuta grave (Sars), afferma Friedrich. Le scimmie aiuteranno a stabilire se questo è il caso anche di Covid-19.
Un’altra domanda urgente che i ricercatori cercheranno di affrontare nelle scimmie è se il virus può nascondersi in alcuni organi in individui apparentemente guariti dall’infezione. L’esistenza di tali serbatoi potrebbe spiegare l’evidenza aneddotica che alcune persone sono state nuovamente infettate dal coronavirus dopo la guarigione, afferma Friedrich.
I roditori allevati al Jackson Laboratory, noti come topi umanizzati ACE2 (hACE2), sono stati sviluppati in risposta allo scoppio della Sars del 2002-2003, causato da un virus correlato all’attuale coronavirus. Ma man mano che l’interesse e il finanziamento per la ricerca sulla Sars sono diminuiti, molti laboratori hanno smesso di lavorare con i topi umanizzati, afferma Stanley Perlman, un coronavirologo dell’Università dello Iowa a Iowa City, il cui laboratorio ha riprodotto uno dei ceppi del nuovo coronavirus. Ora, però, tutti vogliono questi topi. Che bisogna cominciare a produrre di nuovo. Saranno pronti a maggio. Michael Diamond, un immunologo della Washington University di St. Louis, Missouri, spera di usare presto i topi hACE2 per testare vaccini e trattamenti a base di anticorpi.
La speranza è anche quella che il virus, dopo ripetuti passaggi attraverso questi topi, ottenga mutazioni che lo aiutino a infettare i roditori con un sistema immunitario sano. Diamond afferma che lo stesso approccio ha funzionato con il virus Zika, un altro patogeno a cui i topi non erano naturalmente sensibili.
Qin Chuan, un virologo del Peking Union Medical College di Pechino, afferma che il suo team ha identificato diversi farmaci che hanno rallentato la replicazione del virus e limitato la perdita di peso degli animali.