L’OMS avverte: siamo solo all’inizio, forse si andrà avanti per molti mesi, la strategia è rallentare l’arrivo del virus in un Paese il più possibile.

 

 

Il bilancio delle vittime del coronavirus sale negli Stati Uniti mentre il tasso di mortalità globale aumenta al 3,4%. Quasi in risposta alle dichiarazioni del presidente Donald Trump che in polemica con l’Organizzazione mondiale della Salute (Oms) aveva sostenuto che questo virus infetta ma niente paura uccide meno dell’influenza stagionale. Il che significa, secondo Trump, meno di un terzo del tasso di mortalità del Covid-19 in questo momento.

Comunque, poche ore dopo le dichiarazioni dell’inquilino della Casa Bianca altre tre morti da Covid-19 negli Stati Uniti ha messo in crisi la sanità del colosso americano. Martedì 3 marzo scatta la psicosi e gli americani che prima sapevano ma facevano finta di nulla si sono ritrovati di fronte a una dura realtà: tampone e test per il Covid-19 non coperto del tutto dalle assicurazioni salute, al massimo rimborso del 50% e, soprattutto, mancanza dei kit nelle strutture ospedaliere. Il costo di 3.300 dollari fa retrocedere molti cittadini, ma crea malumori. La situazione varia da Stato a Stato. California e Washington sono i più colpiti, a Washington forse il focolaio Usa. Ma i casi confermati oggettivamente sono pochi, altro che quelli della Cina o della Lombardia. Così si scopre che sono pochi perché i test non si fanno.

Facile così bloccare i viaggi aerei nelle aree rosse del mondo, quando tu non sei area rossa perché nessuno cerca il Covid-10. Scricchiola in poche ore la politica sanitaria di Trump, lui che ha smantellato l’Obamacare per risparmiare sui conti dello Stato. “America Prima” non può certo temere un banale virus. E la rete di sanità pubblica si è ritrovata senza risorse per un’epidemia, che potrebbe diventare pandemia. Subito emergenza, task force nazionale sotto la responsabilità del vicepresidente, 8 miliardi e mezzo di dollari stanziati (qualche milione per acquistare i kit), altri laboratori anche universitari autorizzati a fare l’esame (prima potevano solo quelli federali).

La stampa americana si sveglia, prima guardava solo al resto del mondo, e si chiede come mai il sito dei CDC di Atlanta, riferimento mondiale per malattie trasmissibili e non e prevenzione, da una settimana non aggiorna i casi. Censura? Ufficialmente perché mancando i kit diagnostici il numero dei casi era troppo basso. La realtà del Covid-19 negli Stati Uniti è tutta da scoprire e se per caso questo ritardo complicherà le cose anche la poltrona di Trump comincerà a ballare per quanto riguarda le prossime elezioni per il secondo mandato.

I tre decessi del 3 marzo hanno aperto il vaso di pandora e i giornalisti hanno cominciato a raccogliere testimonianze e porsi domande. Il Los Angeles Times fa inchieste negli ospedali della California, il New York Times scrive analisi, perfino Nature scrive news al riguardo e un editoriale che ricostruisce le vicende dal 24 febbraio. Il giorno del primo ricovero da Covid-19 negli Stati Uniti. Ovviamente nella terra della libertà di stampa ai medici in prima linea è stato vietato di parlare. Fioccano quindi testimonianze anonime accanto a quelle di chi può parlare.

Funzionari della sanità pubblica americana confermano allora che il paziente di una casa di cura nello stato di Washington è stato ricoverato il 24 febbraio all’Harborview Medical Center di Seattle e che è deceduto due giorni dopo. Il paziente, un uomo di 54 anni con patologie di base, è stato trasportato dal Life Care Center di Kirkland ed è deceduto pochi giorni prima che diversi altri pazienti nella casa di cura risultassero contagiati dal coronavirus, dichiara la portavoce dell’ospedale Susan Gregg. Martedì scorso, poi, il dipartimento di sanità pubblica di Seattle e King County ha segnalato altri due decessi per Covid-19, portando il totale della contea King County a otto. Un’altra persona morta è della contea di Snohomish, dicono i funzionari sanitari. Quindi 9 morti nella stessa area.

L’OMS avverte: siamo solo all’inizio, forse si andrà avanti per molti mesi, la strategia è rallentare l’arrivo del virus in un Paese il più possibile. Contenere la diffusione. Peraltro – continua l’OMS -, molti Paesi, compresi gli Stati Uniti, sono nel bel mezzo della stagione influenzale, quindi un gran numero di casi di coronavirus potrebbe travolgere ogni sistema sanitario.

“Le informazioni attuali suggeriscono che la maggior parte dei casi di Covid-19 sono lievi – afferma Nancy Messonnier, direttrice dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) del National Center for Immunization and Respiratory Diseases -. Secondo un rapporto proveniente dalla Cina, le malattie più gravi si verificano nel 16% dei casi, e le persone anziane e quelle con patologie sottostanti hanno il doppio delle probabilità di sviluppare una forma grave dell’infezione”.

Parlando martedì durante un briefing con i media, Messonnier ha affermato che casi simili a quelli riportati all’estero si stanno manifestando negli Stati Uniti. Il CDC si affida ai medici locali per determinare quanti test vanno fatti. Il numero poi dipende dai kit di test disponibili, dai CDC, dai produttori controllati dalla Food and Drug Administration. Ora, dopo il 3 marzo, si saltano i vari passaggi e i kit arrivano direttamente agli Stati. Sono i test previsti per la prima linea delle emergenze negli Stati Uniti, spiega Messonnier.

A partire da lunedì 2 marzo sera, negli Stati Uniti erano stati diagnosticati 60 casi di coronavirus, più altre 45 persone che erano passeggeri a bordo della nave da crociera Diamond Princess in Giappone e rimpatriati in America. Ciò equivale a circa 105 casi, secondo il CDC. In tutto. Impossibile da credere.

Il CDC non ha rilasciato informazioni su quanti americani sono stati testati per Covid-19. I dati sono stati aggiornati regolarmente sul sito Web dell’agenzia fino a questa settimana quando i dati sono stati rimossi. Censura? Alle domande dei giornalisti, la Messonnier ha glissato. E sul fatto che gli stretti criteri di test all’inizio dell’epidemia fossero collegati alla limitata disponibilità nei test e potenzialmente è stata così ostacolata la risposta della nazione allo scoppio dell’epidemia, la Messonnier praticamente non ha risposto. Senza spiegare, peraltro, la causa dei difetti nei primi kit di test. “Le indagini sono in corso”, risponde. Poi cerca di andare oltre. “Ciò su cui dobbiamo davvero concentrarci è dove siamo oggi – dichiara -. Dobbiamo concentrarci su ciò che stiamo facendo oggi per identificare i pazienti che sono malati, assicurarsi che vengano adeguatamente trattati e testati e assicurarsi che stiamo proteggendo le nostre comunità”. Qualcuno sottolinea che si pensava che questo si stesse facendo fin dall’allarme mondiale collegato al focolaio in Cina.

E allora si va in prima linea. A raccogliere testimonianze. “Io e i miei colleghi abbiamo lavorato nella trincea del pronto soccorso senza poter fare alcun test”, racconta un medico che lavora in un ospedale di Downey (California). Chiede l’anonimato perché i medici non sono autorizzati a parlare con i media. Racconta anche che un altro sospetto paziente di coronavirus era un’infermiera del reparto trapianti, il cui compito è lavorare con pazienti immunodeficienti. “Ho protestato, è obbligatorio fare il test, ma non c’è stata alcuna risposta affermativa. Spero non abbia infettato qualche paziente”. La priorità dei pochi test fino allo stanziamento del congresso e al riconoscimento politico dell’emergenza era solo di natura economica: chi pagava faceva il tampone.

A causa della carenza, comunque, alcuni operatori sanitari mettono anche in dubbio l’approccio rigoroso ai test dei funzionari federali. Un’infermiera della California che è stata esposta a un paziente con coronavirus confermato ha sintomi ed è in quarantena, ma non è ancora stata testata per il virus dal CDC. “Hanno detto che non mi avrebbero testato perché, se indossassi l’equipaggiamento protettivo raccomandato, non avrei il coronavirus. Che tipo di risposta basata sulla scienza è?”, racconta l’infermiera, che ha chiesto di rimanere anonima, in una dichiarazione letta dal presidente del sindacato del National Nurses United, Deborah Burger, in una conferenza stampa a Oakland giovedì 6 marzo. “Sono un’infermiera e devo sapere se sono positiva prima di tornare a prendermi cura dei pazienti – ha aggiunto -. Ritardare questo test mette a rischio l’intera comunità”.

 

Nella contea di Los Angeles, una donna di 34 anni si è auto-messa in quarantena per due giorni dopo che il suo medico le ha detto che sospettava che la sua febbre alta e la polmonite fossero state causate dal nuovo virus. Stava aspettando notizie dal dipartimento di sanità pubblica sul cosa fare. “Non sono stata contattata, non sono stata testata – dice -. Non sono in cura e sto ancora esponendo le persone rimanendo qui a casa. Vivo con la famiglia e i miei familiari vanno al lavoro, vanno a scuola”.

 

La West Coast continua a sopportare il peso maggiore della malattia negli Stati Uniti, con particolare attenzione alla California del Nord e a Washington. Anche negli Stati Uniti, come sembra essere successo in Italia, il coronavirus probabilmente circolava già da settimane prima di venire trovato in un paziente. Lo afferma una analisi condotta dalla Washington University di Seattle, come riporta il New York Times, sui primi due casi registrati nello Stato di Washington. L’analisi riguarda il primo paziente isolato, reso noto lo scorso 20 gennaio, e un altro caso che risale a pochi giorni fa, che all’inizio non si credeva correlato al primo. Le due persone vivono nella stessa Contea, spiega Trevor Bedford, che ha condotto lo studio, ma non hanno avuto contatti diretti. Inoltre, il secondo caso si è verificato a diversi giorni di distanza, quando ormai il primo non era più infettivo.

“Quindi i risultati dei test genetici suggeriscono che il virus si sia diffuso attraverso altre persone nella comunità per quasi sei settimane – spiega Bedford – era possibile che i due casi non fossero correlati, ma improbabile perché entrambi i virus contengono delle varianti genetiche rare”. Se la teoria fosse giusta, aggiunge Mike Famulare, uno degli autori delle analisi, ci potrebbero essere stati tra i 150 e i 1.500 casi a Washington dalla metà di gennaio. Ma mentre in Italia i tamponi sono scattati subito, negli Stati Uniti se ne parla dal 3 marzo. Prima, dal 20 gennaio, abbiamo visto che cosa è successo.

Almeno cinque contee della California del Nord hanno riferito nuovi casi di Covid-19 da lunedì 2 marzo, portando il totale in California a quasi 50 casi. Sebbene la raffica di risultati positivi dei test negli ultimi giorni segnali che il virus circola negli Stati Uniti, gli esperti analizzano i numeri con le molle. “Fino alla fine della scorsa settimana, i funzionari federali non consentivano test diffusi per il virus, quindi molte persone che erano già malate sono state diagnosticate solo ora”, spiega Marc Lipsitch, epidemiologo di Harvard. “Alcuni numeri stanno cambiando perché stanno accadendo cose nuove, ma molti stanno cambiando perché stiamo scoprendo cose che sono già accadute”, continua Lipsitch, che fa un esempio: “Ora è davvero importante distinguere tra un ‘Oh, c’è un nuovo cluster’ da un ‘Oh, abbiamo appena scoperto che esiste un cluster che è lì da un po’ di tempo’”.

E adesso aumenta la psicosi negli Stati Uniti, non a causa dell’allarmismo ma a causa della mal gestione di questa emergenza da parte della sanità americana. Mentre il virus si diffonde, i funzionari stanno cercando di respingere il pregiudizio e la disinformazione intorno alle cause del contagio, non più relegato all’estero. Alcuni cominciano a evitare Chinatown e altre comunità asiatiche negli Stati Uniti. La senatrice Dianne Feinstein (San Francisco) è intervenuta criticando la xenofobia emergente verso le comunità etniche collegabili erroneamente ai focolai iniziali.

“Abbiamo anche assistito a un aumento del razzismo nei confronti degli americani asiatici perché il virus è associato alla Cina – denuncia la senatrice -. Questo è inconcepibile. Le persone di tutte le età, razze ed etnie sono sensibili a questa malattia. Il fanatismo nei confronti di un singolo gruppo per un virus con cui non hanno nulla a che fare non ha senso”.

Diverse aree in California hanno dichiarato emergenze locali. Lunedì la contea di Sonoma, per esempio, ha rilasciato una dichiarazione dopo aver annunciato che a due persone era stato diagnosticato il virus. Nel frattempo, due nuovi casi di Covid-19 sono stati segnalati nella Contea di Santa Clara, portando il totale locale a nove, il massimo di qualsiasi contea della California. Entrambi gli individui sono sotto isolamento domestico, dicono i funzionari.

Molte segnalazioni di Covid-19 riguardano operatori sanitari, che sono tra i più esposti soprattutto se assistono malati che non si sa se sono infettati dal coronavirus. A centinaia di loro, in California, è già stato chiesto di rimanere a casa a causa del contatto con i pazienti con diagnosi di malattia avvenuto in seguito, quando finalmente è stato fatto il test.

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