La “storia” del virus e le sue mutazioni, compresa quella italiana, ricostruite da un team all’ospedale Sacco di Milano.
Dopo il dermatologo risultato positivo al coronavirus la scorsa settimana, altri due medici del Policlinico di Milano, un infettivologo e un neurochirurgo, sono risultati positivi ai tamponi per il virus Sars-Cov-2, eseguiti presso l’ospedale la scorsa settimana. È quanto si apprende da fonti qualificate che confermano all’”Ansa” una notizia anticipata da “Il Giorno”. Entrambi i medici non sono ricoverati, ma si trovano in isolamento, a casa, con sintomi lievi.
I medici sono in prima linea e, come è successo in Cina, tra diagnosi, assistenza e cura, spesso in questi giorni lavorano in pieno burnout psico-fisico, il che significa possibilità di errori e difese immunitarie abbassate proprio mentre il nemico è un’infezione virale al momento non controllabile, sia come prevenzione sia come cura.
Peraltro, lasciato libero di circolare e infettare per lungo tempo prima di essere intercettato, prima in Cina poi in Italia e nel mondo. Anche perché il nostro Paese al momento sembra avere un suo ceppo virale autoctono: un Covid-19 Codogno. Adattatosi probabilmente lungo la via del Sale. Quindi in molti potrebbero averlo sfiorato, esserne contagiati, combattuto e vinto senza nemmeno conoscerlo e diffuso inconsapevolmente.
Infatti, i ricercatori dell’università degli studi di Milano hanno ricostruito a ritroso la “cartella clinica” di Covid-19 arrivando a fissarne la comparsa, la “nascita”, prima del dicembre 2019 in Cina e di febbraio 2020 in Italia. L’origine dell’epidemia da SARS-CoV-2 può essere collocata tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019, alcune settimane prima quindi rispetto ai primi casi di polmonite identificati. La stima del numero riproduttivo (il numero di casi generati da ogni singolo caso), ovvero il parametro che misura la rapidità con cui il virus viene trasmesso, attuata utilizzando modelli matematici ed evolutivi, ha consentito di evidenziare una vera accelerazione nella capacità di propagazione del virus, una spinta espansiva databile a dicembre 2019.
Spiegano i ricercatori: “Da un numero riproduttivo molto contenuto, inferiore ad 1, a dicembre il virus è infatti passato a 2.6, osservazione che permette di ipotizzare la rapida acquisizione di una maggior efficienza di trasmissione del virus”. Ovviamente individuando con maggior precisione un periodo di comparsa si possono analizzare al meglio i dati giornalieri su contagi e morti. Insomma, ora si può restringere il bersaglio sul nuovo virus, sulla sua velocità di contagio, sulla sua “cattiveria”.
Lo studio condotto sul genoma di SARS-Cov-2 è in via di pubblicazione sul Journal of Medical Virology. Il report è stato appena accettato ed è disponibile in versione pre-print su Medrxiv. Autori? L’équipe di Gianguglielmo Zehender, Alessia Lai e Massimo Galli, del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Università di Milano e del Centro di Ricerca Coordinata EPISOMI (epidemiologia e sorveglianza molecolare delle infezioni che fa capo alla stessa Università). Lo studio è stato condotto nel laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive del DIBIC, presso l’Ospedale Sacco di Milano.
È un’indagine epidemiologico molecolare che si è concentrata sulle variazioni del genoma virale e non sul numero dei casi osservati. Analizzati 52 genomi virali completi di SARS-Cov-2 depositati in banche dati al 30 gennaio 2020 si è potuta fissare la data di avvio dell’infezione, la data di “mutazione” del virus da “indifferente” a “cattivo” per l’uomo. E, di conseguenza, è stato possibile ricostruire la diffusione dell’infezione nei primi mesi dell’epidemia in Cina, attraverso la stima di parametri epidemiologici fondamentali come appunto il numero riproduttivo di base (R0) e il tempo di raddoppiamento delle infezioni. A dicembre il virus è passato a R0 2.6, osservazione che permette di ipotizzare la rapida acquisizione di una maggior efficienza di trasmissione del virus.
“Una trasformazione – ipotizzano gli autori della ricerca – che potrebbe essere dovuta a variazioni o nelle capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo, o nelle caratteristiche della popolazione prevalentemente infettata”. Il Dna non mente direbbero gli specialisti della biologia molecolare investigativa, come il nostro Ris dei Carabinieri. È come la “caccia” a un serial killer, alle tracce che lascia e che servono per catturarlo e poi condannarlo. In questo caso la “caccia” è al virus.
Altro aspetto importante affrontato dallo studio, e collegato al precedente, è il tempo di raddoppiamento dell’epidemia stimato. La velocità di infezione del virus, del contagio da persona a persona. Covid-19 si è prima allenato e poi ha migliorato i suoi tempi: a partire da dicembre ha fissato il suo record di raddoppiamento dell’epidemia in circa 4 giorni rispetto ai circa 7 giorni calcolati dagli esperti sulla base del numero dei casi notificati. Tradotto: o virus più rapido o calcoli sbagliati. Come detto, il virus si è allenato e si è rafforzato. L’iniziale trasmissione serbatoio animale-uomo e le prime trasmissioni uomo-uomo sono state limitatamente efficienti e più lente, in seguito, durante il mese di dicembre, rapidità ed efficienza di Covid-19 sono aumentate.
“È verosimile – commentano gli autori – che tale rapidità di crescita dei casi si sia successivamente ridotta in seguito alle misure restrittive adottate in Cina. Ulteriori studi su genomi isolati in periodi più recenti potranno confermare anche l’utilità di queste tecniche nel valutare gli effetti delle misure di prevenzione adottate. “L’epidemiologia molecolare e lo studio della filogenesi virale – continuano gli autori – non sono influenzati da possibili fonti di incertezza, ritardi di notifica o da sotto-notifiche di nuovi casi … Rappresentano quindi un importante strumento complementare all’epidemiologia classica”.