L’iniziativa mira a supportare lo sviluppo e la distribuzione equa di 2 miliardi di dosi di vaccini Covid-19 entro la fine del 2021.
Quando SARS-CoV-2 ha iniziato a diffondersi, i Paesi del mondo non avevano piani di vaccinazione pandemica in atto. Ma in sei mesi sono accadute molte cose. Oggi (12 ottobre 2020) ci sono 40 vaccini candidati per il coronavirus studiati sugli esseri umani, di cui nove nella fase finale dei test. C’è anche il primo tentativo al mondo di uno sforzo globale per garantire che, quando abbiamo uno o più vaccini funzionanti, tutti i Paesi possano usufruirne, indipendentemente dal loro PIL.
L’iniziativa si chiama Covax e mira a supportare lo sviluppo e la distribuzione equa di 2 miliardi di dosi di vaccini Covid-19 entro la fine del 2021. È il più grande sforzo multinazionale dall’accordo sul clima di Parigi, secondo Seth Berkley, CEO di Gavi, la Vaccine Alliance, uno dei partner dietro Covax, insieme all’Organizzazione mondiale della sanità e alla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI).
Al 12 ottobre, 171 Paesi ad alto, basso e medio reddito, che rappresentano quasi i due terzi della popolazione mondiale, si sono iscritti a Covax. Compresa la Cina, che in precedenza non aveva accettato di aderire. Ma in parallelo mancano gli Stati Uniti, seguendo la linea di Donald Trump che deciso anche di non finanziare più l’Organizzazione mondiale della sanità. In realtà Covax è una straordinaria impresa di collaborazione, in particolare in un momento in cui globalismo e multinazionalismo sono minacciati.
Covax ha due componenti principali attive: la “Facility” che è un pool di acquisti per i Paesi a reddito più elevato e l'”Advance Market Commitment”, o AMC, che è uno sforzo di raccolta fondi per i Paesi più poveri.
Promettendo di acquistare un certo numero di dosi di vaccino dai produttori, i Paesi che aderiscono ottengono l’accesso a tutti i vaccini approvati nel portafoglio di Covax, creando al contempo un mercato globale, abbassando i prezzi. L’AMC, nel frattempo, dirige gli aiuti allo sviluppo, nonché donazioni del settore privato e filantropiche a Paesi a basso e medio reddito che altrimenti potrebbero non essere in grado di permettersi un vaccino contro il coronavirus. Finora, l’AMC è parzialmente finanziato con circa 1,8 miliardi di dollari. Mancherebbero ancora 200 milioni di dollari per raggiungere l’obiettivo del fondo necessario entro la fine del 2020, secondo quanto riporta Gavi.
Insieme, tutti i Paesi che fanno parte di Covax dovrebbero seguire un piano per distribuire equamente il vaccino al fine di prevenire l’accumulo di interessi personali a livello nazionale. Lavorando insieme, le persone a più alto rischio in ogni Paese possono essere immunizzate, invece di tutti i residenti delle Nazioni più ricche abbandonando gli altri al loro destino.
Ma nonostante il grande obiettivo, Covax ha anche dovuto affrontare numerose sfide e alcune critiche. Molti Paesi a più alto reddito hanno firmato accordi bilaterali con i produttori, che Anna Marriott, consulente per le politiche sanitarie di Oxfam, considera un “doppiogiochismo” che rallenta la strategia di un “accesso equo a un vaccino”.
Inoltre, la più grande economia del mondo, gli Stati Uniti, ha per l’appunto deciso di mettere da parte Covax, inducendo alcuni osservatori a chiedersi se l’iniziativa senza questo Paese raggiungerà il suo obiettivo. Come afferma Lawrence Gostin, professore di diritto sanitario globale alla Georgetown University: “Covax è un’iniziativa enormemente utile, che spinge il mondo verso l’equità”. Ma, senza un Paese importante come gli Stati Uniti, Covax rischia di non “avere il finanziamento e la forza politica per assicurare l’equità globale”. E aggiunge: “Stando così la situazione, prevedo che milioni di persone povere non riusciranno ancora ad avere un accesso rapido e conveniente a un vaccino Covid-19”.
Grazie a un’intervista di Julia Belluz, su Vox Science, abbiamo un quadro della situazione vaccini e dell’obiettivo di Covax direttamente dal CEO Seth Berkley. Ecco quello che si definisce il punto della situazione.
Possiamo partire dal contesto storico in cui è stato creato Covax? Che cosa è successo in passato con la produzione di vaccini durante un’epidemia e cosa succederà ora?
“In passato, ci sono state epidemie in cui i ricchi hanno comprato tutte le dosi di vaccino senza lasciarne disponibili per il mondo in via di sviluppo. La nostra idea, il nostro obiettivo, è di avere vaccini disponibili simultaneamente nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Lo sforzo di Covax potrebbe non essere perfetto ma noi ci crediamo e ci stiamo provando. Comunque, già il fatto che il mondo si stia riunendo per cercare di mettere insieme una visione condivisa e una struttura condivisa è evento storico. E credo che questo sia il più grande sforzo multilaterale dall’accordo sul clima di Parigi. Pertanto, in un momento di scarso interesse o di ridotto interesse per il multilateralismo, penso che sia una cosa positiva”.
Il mondo è apparso in ritardo, non immediatamente reattivo, per una pandemia. E anche Covax sembra reazione ritardata. Come mai?
“Con piccole pandemie, catturi l’attenzione delle persone, compresi i media. Ricordo che durante l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, Ebola si chiamava ‘ISIS delle malattie infettive’. Era la notizia del decennio. Poi, non appena l’emergenza è finita, all’improvviso così come apparsa, le persone sono tornate alla vita normale ed Ebola è diventata un problema passato. Non risolto, ma del passato. Non aveva davvero catturato l’attenzione dell’opinione pubblica sul lungo termine. La mia speranza è che una volta superata la pandemia Covid-19 la gente questa volta non dimenticherà e dirà: ‘Ok, ora capiamo che le malattie infettive possono davvero fare la differenza’. E la differenza questa volta pesa anche sull’economia globale: il Fondo Monetario Internazionale calcola che i Paesi dovranno investire per contrastare gli effetti economici della pandemia tra i 9 e i 12 trilioni (miliardi di miliardi) di dollari. E questo se si riuscirà a tornare alla normalità entro la fine del prossimo anno. Date le perdite stimate, è ben poca cosa l’investimento in prevenzione che Covax chiede al mondo. La vera sfida è però sempre la stessa: durante il periodo acuto le persone sono interessate, poi passata la paura le persone perdono interesse e non vogliono più investire. Questa volta, però, la sensazione è che si possa verificare una reazione diversa dal solito”.
Se Covax ha successo, la strategia studiata potrebbe essere utilizzata in future pandemie?
“Questo tipo di solidarietà è fondamentale perché altrimenti ciò che ti ritroverai è solo una costante reintroduzione di infezioni e l’incapacità di tornare alla normalità”.
I Paesi che aderiscono a Covax avranno accesso alla dozzina di vaccini in cui l’organizzazione ha investito, supponendo che gli studi clinici dimostrino che siano efficaci e sicuri. Come sono stati scelti i vaccini sui quali state scommettendo?
“L’idea originale era cercare di ottenere da 12 a 15 diversi vaccini. E questa è una partnership. CEPI (la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) ne fa parte e ha già nove vaccini nel portafoglio, dei quali ovviamente stiamo seguenddo gli sviluppi. CEPI era alla ricerca di velocità, scalabilità e accesso a vaccini che potessero essere prodotti su larga scala nel 2021 perché l’idea era di provare a ottenere fino a 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021. Stiamo anche dialogando con altri produttori che non hanno lavorato con CEPI, e anche con la Gates Foundation, che ha un portafoglio. La Fondazione Gates è alla ricerca di vaccini che potrebbero essere complementari a quelli del network CEPI. Quindi, stiamo esaminando diversi tipi di vaccini per ottenere il portafoglio più ampio possibile”.
C’è la possibilità che tutti i vaccini nel portafoglio di Covax falliscano?
“Nessuno sa se qualcuno di questi funzionerà o meno. Ovviamente, i dati stanno cominciando ad arrivare per verificare se il vaccino stimola reazioni immunologiche e anticorpi contro la proteina spike. Ma ovviamente non abbiamo ancora prove definitive che questi anticorpi siano in grado di fornire una protezione duratura contro il virus. Sono queste le domande alle quali dovremo rispondere rapidamente per sapere se la strada è quella giusta o se è meglio abbandonarla. Peraltro, la speranza è che funzionino diversi tipi di vaccino”.
Supponendo di avere vaccini che funzionino, come verrebbero poi introdotti nei diversi Paesi. Per esempio, si parte con dosi per quali gruppi di popolazione per la prima serie di vaccinazioni?
“Inizialmente, si vaccinerà un 20% della popolazione: gli operatori sanitari in prima linea e a rischio, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, gli anziani e altri gruppi ad alto rischio per patologie in atto. Ci sono poi Paesi come il Giappone o l’Italia, dove i dati demografici della popolazione sono tali (molti più anziani) da porli tra le priorità. E ci sono Paesi da seconda ondata di vaccinazioni, come la Nigeria dove l’età media è di 19 anni. Stiamo fissando regole per un equilibrio nei vari Paesi fissando priorità di vaccinazione. È probabile che ci siano limitazioni di fornitura nei primi 12-18 mesi. E quindi proveremmo a portare un vaccino in ogni Paese piuttosto che in pochi Paesi completamente vaccinati mentre tutti gli altri no.
Un gruppo di Paesi ad alto reddito (Australia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Unione Europea) hanno firmato accordi bilaterali con i produttori per garantire dosi di vaccini, attualmente ancora in sperimentazione, per le loro popolazioni. Questi accordi non minano Covax?
“Certo il mondo starebbe meglio in una situazione in cui tutti lavorassero a livello multilaterale, perché si potrebbero utilizzare le risorse nel modo più appropriato. Anche risparmiando. Cooperando multilateralmente si creerebbero le condizioni per aumentare i candidati vaccini promettenti. Ma la realtà è che i Paesi, o alcuni Paesi, più ricchi fanno accordi bilaterali. Il mio lavoro è provare a collaborare con questi Paesi per assicurarmi un’allocazione equa. Paesi come gli Stati Uniti che spendono 10 o 11 miliardi di dollari possono permettersi un portafoglio completo di vaccini. Ma questo ha enormi vantaggi per la comunità perché loro pagano molti test clinici, inclusi i test di fase 3. E favoriscono processi di produzione molto utili per tutti gli altri gruppi. Molti altri Paesi in via di sviluppo non possono permettersi di farlo”.
Che cosa potrà far dire a Covax di aver fatto centro, di aver raggiunto l’obiettivo?
“Fornire un vaccino simultaneamente, nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Ottenere la protezione dal virus ovunque, anche se parziale, ma tale da cambiare la dinamica della pandemia a livello locale e, di conseguenza, globale. Mostrano il potere del lavorare insieme, della collaborazione. In una pandemia altamente contagiosa, l’idea di proteggere solo la tua gente, ignorando tutti gli altri, lascerebbe vaste sacche di virus in circolazione. Quindi, non si sarebbe in grado di tornare al commercio normale, al turismo, ai viaggi, a nessuna di queste cose, se persistono focolai attivi. Si deve ragionare in una prospettiva globale e non locale, anche se normalmente le persone pensano alla propria protezione e basta.
Portare i Paesi a pensare globalmente al rischio di malattia è sempre stato difficile.
Ecco perché è straordinario ciò che abbiamo avviato. Peraltro, la cooperazione è fondamentale anche per la ricerca e lo sviluppo del vaccino. Un bene comune globale e una soluzione globale al problema. Ricordo che cosa è accaduto per il vaccino contro Ebola. Tutti i Paesi hanno provato la propria tecnologia e tutti pensavano di vincere. E poi? Quale vaccino ha vinto? Un vaccino canadese, ottenuto con una biotecnologia americana, sviluppato da una multinazionale americana e prodotto in Germania. È così che funziona la scienza. Quindi se tutti dicessero ‘Voglio solo il mio vaccino, la mia produzione, i miei test, i miei adiuvanti’, non si avrebbe la migliore scienza, non si avrebbero le migliori possibilità di successo”.
Infine, in termini di tempistica, avete previsioni su quando potremmo avere un vaccino efficace?
“Nel nostro portafoglio abbiamo nove vaccini nella fase tre degli studi in questo momento. Quindi nel quarto trimestre è probabile che inizieremo a ottenere alcuni dati. E non abbiamo idea se saranno positivi o negativi o se le prove verranno interrotte a causa di effetti collaterali. Ma penso che nei prossimi tre o quattro mesi inizieremo a capire se vedremo protezione o meno e quanto siano efficaci i vaccini”.
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