Microbiota e genetica tra le cause su cui agire per nuove cure. Le Spondiloartriti (SpA), malattie infiammatorie croniche, possono compromettere la qualità della vita, ma le nuove terapie offrono soluzioni più efficaci.  La ricerca sta focalizzando l’attenzione sul microbiota intestinale, il suo disequilibrio alla base di complicanze e minor risposta al trattamento. Studi sulla genetica stanno mettendo in luce il ruolo di alcuni geni nell’influenzare l’evoluzione e la gravità della malattia e potrebbero aprire a importanti innovazioni. L’attività fisica e lo sport, compatibili con la condizione personale, sono utili anche a chi soffre di queste patologie perché aiutano a ottenere una qualità di vita migliore.

 

 

 

Convivere con una malattia come la spondiloartrite è possibile, raggiungendo una buona qualità di vita, senza sviluppare gravi disabilità come in passato, e mantenendo una costante attività fisica, che contribuisce a stare bene. Ma i meccanismi di questa patologia sono complessi e la ricerca scientifica li sta svelando gradualmente.

Ai progressi nelle cure e nelle scoperte scientifiche più attuali è dedicato il Congresso SpA & Sport, che si svolge presso l’Università di Padova il 17-18 ottobre, promosso dalla Prof.ssa Roberta Ramonda, UOC di Reumatologia, Dipartimento di Medicina – DIMED Università degli Studi di Padova e vicepresidente della Fondazione Italiana per la Ricerca in Reumatologia (FIRA).

Le spondiloartriti rappresentano un gruppo vasto ed eterogeneo di patologie infiammatorie croniche che interessano principalmente la colonna vertebrale e le articolazioni sacro-iliache, ma possono colpire anche le articolazioni periferiche, con coinvolgimento della membrana sinoviale, della capsula e della cartilagine articolare, dei tendini e del liquido sinoviale.

Oltre alle manifestazioni articolari, le spondiloartriti possono essere associate a patologie extra-articolari, quali la psoriasi (dermatite cronica), l’uveite (infiammazione a carico di alcune strutture dell’occhio), o le malattie infiammatorie croniche intestinali, quali il morbo di Crohn o la rettocolite ulcerosa.

“Le spondiloartriti colpiscono 14,3 persone ogni 100.000 adulti con una netta prevalenza del sesso maschile (3 a 2) e un’età di insorgenza intorno ai 18-35 anni.

Se non riconosciute in tempo e trattate precocemente possono causare progressivamente gravi disabilità, con importanti conseguenze fisiche, psicologiche, sociali, lavorative ed economiche.  Diventa quindi fondamentale attivare percorsi diagnostici e terapeutici efficaci” spiega la prof.ssa Ramonda.

 Il sintomo principale comune a tutte queste forme è il dolore lombare, associato a rigidità e difficoltà nei movimenti, di fondamentale importanza, quindi, l’attenta valutazione di queste manifestazioni ai fini di una corretta diagnosi.

Al momento non si è ancora compreso l’esatto meccanismo che porta allo sviluppo delle spondiloartriti magli studi scientifici si stanno concentrando su più fronti.

La ricerca scientifica sta indagando, ad esempio, le cause legate alla spondilite, con interessamento in particolare delle vertebre, e ha messo in evidenza il ruolo fondamentale dello stato infiammatorio intestinale conclamato o subclinico come contributo al processo infiammatorio del danno articolare.

“Studi recenti hanno dimostrato che alterazioni nella composizione del microbiota intestinale possono predisporre sviluppi infiammatori sistemici e influenzare la risposta immunitaria, contribuendo così all’insorgenza e alla progressione della malattia” spiega il prof. Francesco Ciccia Professore Ordinario di Reumatologia presso l’Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli e membro del Comitato Scientifico FIRA.

“La disbiosi, caratterizzata da uno squilibrio tra microrganismi benefici e patogeni, può rafforzare i meccanismi immunologici coinvolti nella spondilite, attivando una risposta infiammatoria esagerata. Comprendere questi fenomeni può offrire nuove prospettive terapeutiche, spingendo a puntare anche su interventi mirati a modulare il microbiota e ridurre l’infiammazione intestinale”.

Anche la genetica è chiamata in causa dagli ultimi studi. Si sa da tempo, per esempio, che la presenza di un gene (HLA-B27) predispone allo sviluppo della spondilite anchilosante e di altre patologie immunomediate (tra cui diabete, sclerosi multipla e morbo di Crohn). “Le ricerche più attuali hanno inoltre messo in evidenza che una variante differente per un solo aminoacido (B*2709) diffusa nell’Italia meridionale non conferisce predisposizione alla malattia.

Dal confronto tra le due varianti, riteniamo di poter risalire in futuro alla scoperta del meccanismo che causa questa patologia” spiega il prof. Alberto Cauli, professore ordinario di Reumatologia dell’Università di Cagliari, Direttore della Reumatologia dell’AOU di Cagliari e membro del CdA di FIRA.

 Il progresso della ricerca scientifica ha già permesso di sviluppare terapie sempre più innovative ed efficaci per il trattamento di queste patologie grazie ai farmaci biotecnologici che contrastano le citochine e proteine pro-infiammatorie (anti TNF alfa, anti CTLA4 e anti JAK), oltre a quelli tradizionali.

“La terapia delle spondiloartriti si è arricchita permettendo ai pazienti di ottenere risultati impensabili sino a 10-15 anni fa. La possibilità di raggiungere uno stato di benessere definito come remissione è attualmente possibile in un numero sempre più elevato di pazienti” spiega il prof. Roberto Caporali, Direttore Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche ASST Pini-CTO di Milano, Università di Milano.

“Questa si può ottenere però solo se vi è una diagnosi e un trattamento precoce della malattia. Ad oggi permane un ritardo diagnostico ancora troppo lungo: è necessario lavorare molto sul riconoscimento dei sintomi di malattia e sull’invio precoce dei pazienti alla valutazione reumatologica per poter aumentare la quota di pazienti che possano raggiungere la remissione e riacquistare una normale qualità della vita”.

Per il miglioramento della qualità di vita dei pazienti, in realtà, è fondamentale adottare una terapia multidisciplinare che presti una particolare attenzione anche all’esercizio fisico, al potenziamento muscolare, alla fisiochinesiterapia e a un adeguato stile di vita anche dal punto di vista nutrizionale.

“I benefici principali potenzialmente includono il miglioramento della mobilità articolare, della postura e della flessibilità, elementi fondamentali per contrastare la rigidità tipica della malattia. L’attività fisica regolare, in particolare esercizi di allungamento, rafforzamento muscolare e attività aerobiche a basso impatto, come il nuoto o il ciclismo, possono ridurre il dolore, l’infiammazione e la progressione della malattia, migliorando anche la qualità della vita. Tuttavia, è essenziale che il programma di esercizio sia individualizzato in base alle condizioni cliniche e funzionali del paziente” sottolinea il prof. Andrea Ermolao, Direttore dell’U.O.C. Medicina dello Sport e dell’Esercizio Università di Padova.

“È fondamentale per un migliore trattamento delle SpA una gestione multidisciplinare che possa abbracciare la sfera della nutrizione, della salute mentale, dell’attività fisica e riabilitativa, grazie alla collaborazione tra reumatologi, medici dello sport, fisiatri, geriatri e nutrizionisti, che per questa ragione abbiamo riunito per due giorni qui a Padova” conclude la prof.ssa Ramonda.

“La ricerca scientifica sta illuminando negli ultimi anni diversi aspetti importanti delle spondiloartriti e nel tempo ha consentito un nuovo approccio nella gestione della malattia arrivando a parlare di remissione” sottolinea il prof. Carlomaurizio Montecucco, Presidente di FIRA e ordinario di Reumatologia dell’Università di Pavia al Policlinico San Matteo. “Continuare negli studi e investire nella ricerca è fondamentale per compiere ulteriori passi avanti e offrire a sempre più pazienti prospettive di vita migliori”.