AIFA ha approvato la rimborsabilità di enfortumab vedotin per il trattamento di pazienti adulti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico che hanno precedentemente ricevuto una chemioterapia contenente platino e un inibitore PD-1 o PD-L1.
Ogni anno, nel nostro Paese, sono diagnosticati 29 mila casi di cancro alla vescica, il quarto tumore per incidenza negli uomini e l’ottavo nelle donne.
Il carcinoma uroteliale è la forma più comune di cancro della vescica: si stima che in Europa 204.000 persone abbiano ricevuto una diagnosi di cancro uroteliale nel 2020 e oltre 67.000 persone siano decedute a seguito della malattia.
Da oggi è disponibile in Italia enfortumab vedotin, il primo anticorpo farmaco-coniugato autorizzato nell’UE per i pazienti che hanno fallito la chemioterapia e l’immunoterapia per questo tipo di cancro.
l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di enfortumab vedotin in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con carcinama uroteliale (UC) localmente avanzato o metastatico che hanno precedentemente ricevuto una chemioterapia contenente platino e un inibitore del recettore di morte programmata 1 (PD-1) o un inibitore del ligando di morte programmata 1 (PD-L1), con Determina n. 458/2023 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 luglio 2023.
L’approvazione da parte di AIFA segue l’approvazione della Comunità Europea, che è stata supportata dai dati ottenuti con lo studio internazionale di fase 3 EV-301 che ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza complessiva rispetto alla chemioterapia.
I diversi tipi di tumore alla vescica
La dottoressa Patrizia Giannatempo, Oncologo Medico SS di Oncologia Genito-Urinaria, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, spiega in che cosa consiste questo tumore:
“Il tumore della vescica ha origine quando le cellule uroteliali, cioè quelle che rivestono l’utero, la vescica, gli ureteri, l’uretra e le pelvi renali, si moltiplicano in modo incontrollato e costituiscono una massa tumorale”.
“La maggior parte dei tumori della vescica, circa il 90%, sono carcinoma uroteliali, mentre il 4% interessa le cellule squamose nel rivestimento della vescica e nel 2% dei casi si sviluppa invece nelle cellule ghiandolari (adenocarcinoma)”.
“Dei 29 mila casi registrati annualmente, circa 21mila non sono muscolo infiltranti, cioè il tumore interessa solo le cellule di rivestimento del tratto urinario, mentre 5 sono invece quei tumori che hanno oltrepassato questo strato cellulare e si sono infiltrati nei muscoli dell’apparato urinario”.
“Infine, può essere localmente avanzato se è arrivato a interessare i linfonodi pelvici e si è esteso agli organi vicini, come prostata e utero“.
Se la neoplasia interessa fegato, ossa, polmoni, linfonodi esterni alla pelvi o altre parti del corpo, il tumore è detto metastatico “e questa condizione interessa circa 1.300 persone ogni anno”.
I fattori di rischio
“La cosa cui bisogna prestare molta attenzione è l’ematuria, cioè il sangue nelle urine” avverte Daniele Santini, Professore Ordinario di Oncologia Medica, Sapienza Università di Roma e Direttore UOC Oncologia A, Policlinico Umberto I Sapienza Università di Roma.
“Nell’uomo la diagnosi mediamente arriva dopo 3-6 mesi, mentre per la donna occorre anche più di un anno“, spiega, “e questo si riflette anche in una prognosi peggiore”.
“Inoltre, anche se è più frequente tra i maschi, ha una maggiore aggressività nelle femmine, a causa di una differente biologia”.
“I fattori di rischio principali sono il fumo e le cistiti ricorrenti, poiché queste infiammazioni col passare del tempo possono diventare neoplasie”.
“Inoltre è documentato come l‘incidenza del tumore sia proporzionale al numero di sigarette fumate al giorno”.
“Altri fattori di rischio sono l’esposizione a sostanze chimiche (vernici, ad esempio), alle radiazioni (come la radioterapia eseguita per altre patologie), ma c’è anche una predisposizione familiare“.
La sopravvivenza
“A cinque anni una percentuale di pazienti compresa tra il 70% e il 90% è viva, se la malattia non è muscolo infiltrata” dichiara la dottoressa Giannatempo, “mentre in fase localmente avanzata di patologia la sopravvivenza cala drasticamente a 12-24 mesi”.
“È per questi pazienti, dopo la chemio e l’immunoterapia, che è destinato il nuovo farmaco”, prosegue.
“Si tratta di un farmaco rivoluzionario, perché ha aumentato al sopravvivenza mediana di 12,8 mesi, rispetto ai solo 8 mesi dei pazienti trattati con chemioterapia e alcune persone possono vivere anche fino a cinque anni” dichiara.
“Il vantaggio si è dimostrato anche nella riduzione della dimensione del tumore e in una migliore qualità di vita delle persone”.
“È quello che chiamiamo ‘effetto Lazzaro’, che mi piace raccontare con un aneddoto: un paziente in stadio avanzato è giunto nel mio studio in sedia a rotelle, stanco e demotivato dai precedenti trattamenti senza successo di chemio e immunoterapia; dopo essersi sottoposto alla cura col nuovo farmaco, si è ripresentato da me saltellando allegramente”.
Come agisce enfortumab vedotin
Come suggerisce il nome, è composto da due farmaci: “il primo è un anticorpo monoclonale diretto contro una proteina espressa sulla superficie delle cellule tumorali” spiega Santini.
“A questo è legato un un farmaco citotossico, la auristatina. Questa, non si può somministrare per via endovenosa, perché tossica e causerebbe la morte del paziente”.
“Invece, l’anticorpo monoclonale, si lega alle cellule cancerose tramite la proteina espressa e introduce il chemioterapico citotossico direttamente in quelle cellule“.
Questo è il meccanismo di funzionamento degli anticorpi farmaco-coniuigati.
Ma c’è di più. “Il farmaco, inoltre, si diffonde nelle cellule circostanti – il cosiddetto microambiente tumorale – anche se queste non hanno la proteina espressa sulla loro superficie”.
Non solo. “L’anticorpo provoca anche la cosiddetta morte immunogenica delle cellule tumorali, in quanto richiama i linfociti del sistema immunitario atti a combatterle e ucciderle”.
Per chi è indicato enfortumab vedotin
“Ci sono due tipi di pazienti a cui il farmaco è destinato” spiega Santini.
“Quelli che hanno risposto a una chemioterapia con platino di prima linea e che dopo 4-6 cicli (non si può proseguire all’infinito per ragioni di tossicità) e poi hanno fatto un’immunoterapia di mantenimento; e i pazienti che hanno fallito sia la chemio sia l’immunoterapia e il tumore è andato in progressione”, conclude.
Lo studio
Lo studio EV-301 ha confrontato enfortumab vedotin con la chemioterapia in pazienti adulti (n = 608) affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, già trattati in precedenza con chemioterapia contenente platino e un inibitore del PD-1/L1.
All’epoca dell’analisi ad interim pre-specificata, i pazienti trattati nello studio con enfortumab vedotin (n = 301) hanno ottenuto una sopravvivenza mediana di 3,9 mesi in più rispetto a quelli trattati con la chemioterapia (n = 307).
L’OS mediana è stata rispettivamente di 12,9 contro 9 mesi. Negli studi clinici, le reazioni avverse più comuni con enfortumab vedotin sono state alopecia, stanchezza, appetito ridotto, neuropatia sensitiva periferica, diarrea, nausea, prurito, disgeusia, anemia, perdita di peso, eruzione cutanea maculo-papulare, cute secca, vomito, aumento della aspartato aminotransferasi, iperglicemia, occhio secco, aumento della alanina aminotransferasi ed eruzione cutanea.
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