I risultati di uno studio condotto presso l’Università Cattolica di Roma e l’Università di Trento sui modi migliori per eseguire il trapianto. L’intelligenza artificiale può aiutare a selezionare il donatore giusto.
Dalle infezioni intestinali incurabili alla sindrome metabolica, dal melanoma, alla malattia infiammatoria cronica intestinale, come la sindrome dell’intestino irritabile, alla sindrome di Tourette: molte malattie possono potenzialmente essere curate con il trapianto di microbiota fecale (FMT), e ricercatori dell’Università Cattolica di Roma e dell’Università di Trento hanno dimostrato che maggiore è il livello di attecchimento dei microrganismi trapiantati, maggiori sono le possibilità di successo della terapia.
È questo il fulcro dello studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine coordinato da Gianluca Ianiro, Ricercatore in malattie dell’Apparato Digerente presso l’Università Cattolica e consulente della UOC di Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli” IRCCS e dal Professor Nicola Segata, Professore di Genetica all’Università di Trento e al Dipartimento cibio dell’Università di Trento e all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Italia.
“Il trapianto di microbiota – spiega Antonio Gasbarrini, professore ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica e direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e delle Unità Operative di Medicina Interna e Gastroenterologia e CEMAD-Digestive Disease Center della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è una nuova frontiera terapeutica che abbraccia diversi campi della medicina, non solo gastroenterologia, ma anche, ad esempio, oncologia, (si è visto che l’efficacia di alcune terapie antitumorali è influenzata dal microbiota). E’ sempre più chiaro che il microbiota intestinale -l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi nel nostro intestino svolgendo tante funzioni oltre a quella digestiva- è importante per la salute umana e ha un ruolo cruciale sia per il tratto digestivo, il sistema immunitario, sia anche (attraverso la connessione intestino-cervello operata dal nervo vago) per il sistema nervoso, con possibili ripercussioni su malattie complesse come la sclerosi multipla e l’autismo”.
Il trapianto viene effettuato isolando e purificando il microbiota del donatore raccolto dalle feci e trasferendolo in vari modi (in capsule o durante una colonscopia) al paziente donatore. Ciò che non è veramente chiaro di questa procedura terapeutica è quanto bene i microrganismi trapiantati si innestano nell’intestino del paziente ricevente.
Gli esperti hanno analizzato con sofisticate tecniche di sequenziamento genomico e di analisi al computer un totale di oltre 1.300 campioni di microbiota intestinale (raccolti dalle feci) da donatori e pazienti riceventi con ben otto diverse malattie (C. difficile, infezioni da batteri multiresistenti intestinali, sindrome metabolica, melanoma, malattia infiammatoria cronica intestinale, sindrome dell’intestino irritabile, diarrea da chemioterapia, sindrome di Tourette).
“Grazie alla capacità dell’analisi basata su tecniche di sequenziamento genomico – spiega Segata – di identificare i diversi ceppi batterici presenti nel microbiota, che hanno un pattern specifico per ogni persona, siamo riusciti a capire se un particolare ceppo è stato trasmesso dal donatore al ricevente”.
“Abbiamo visto”, spiega Ianiro, “che i pazienti con livelli più elevati di attecchimento del microbiota hanno ottenuto una migliore risposta clinica; anche che l’attecchimento è maggiore nei pazienti con malattie infettive (che hanno uno squilibrio del microbiota meno graveo disbiosi) rispetto a quelli con malattie croniche (che hanno una disbiosi più complessa e radicata).”
“Abbiamo anche scoperto”, aggiunge Ianiro, “che i pazienti trattati con terapia antibiotica prima della procedura di trapianto avevano un attecchimento più elevato e che l’infusione del microbiota attraverso più vie di somministrazione (ad esempio, capsule insieme alla colonscopia) promuoveva l’attecchimento. È stato anche scoperto che alcune specie microbiche (in particolare Proteobacteria e Actinobacteria) attecchiscono meglio di altre (ad esempio, il phylum Firmicutes)”.
Infine, “abbiamo dimostrato che utilizzando l’intelligenza artificiale possiamo prevedere con precisione rilevante la composizione del microbiota del donatore dopo il trapianto, e questo potrebbe quindi portare a identificare i migliori donatori le cui feci hanno più successo nell’aumentare la diversità del microbiota (che è un parametro della salute del microbiota) post-trapianto fecale”, sottolineano Ianiro e Segata.
“Questo studio è il risultato di una fruttuosa collaborazione e di anni di studio da parte del nostro gruppo di ricerca sul trapianto di microbiota intestinale. È grazie a questi progressi nella conoscenza delle condizioni che massimizzano il successo del trapianto – spiega Giovanni Cammarota, Professore Associato di Gastroenterologia all’Università Cattolica e Direttore della UOC di Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – che saremo sempre più in grado di sfruttare la procedura nella pratica clinica per la cura di molte malattie.
“Per questo – conclude Ianiro – abbiamo recentemente vinto una borsa di studio per perseguire, con il gruppo di Trento e Milano e la nostra unità di Medicina Oncologica, uno studio randomizzato e controllato volto a valutare se il trapianto fecale riesce a migliorare la risposta terapeutica alle immunoterapie (l’ultima frontiera dei farmaci oncologici) in pazienti con carcinoma renale avanzato. Già per altri tumori, come il melanoma, ci sono prove iniziali e promettenti sulla connessione tra microbiota e successo dell’immunoterapia, conclude il professor Cammarota”.