L’approccio della “riprogrammazione” sembra rendere di nuovo giovani le vecchie cellule.
I ricercatori hanno ripristinato la capacità visiva in topi “vecchi” e in topi con nervi retinali danneggiati, ripristinando alcune delle migliaia di siti chimici che si accumulano con l’età sul DNA delle cellule. Lo studio, pubblicato il 2 dicembre su Nature, suggerisce un nuovo approccio per invertire il declino legato all’età, riprogrammando alcune cellule in uno stato “più giovane” in cui sono in grado di riparare o sostituire i tessuti danneggiati.
“È un punto di riferimento importante”, afferma Juan Carlos Izpisua Belmonte, biologo dello sviluppo presso il Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California, che ha valutato lo studio senza però avervi partecipato. “Questi risultati mostrano chiaramente che la rigenerazione tissutale nei mammiferi può essere riattivata o migliorata”. I ricercatori avvertono, però, che il lavoro è stato svolto finora soltanto nei topi, e resta da vedere se gli stessi risultati sono raggiungibili in persone o in altri tessuti e organi che sono devastati dal tempo.
Il ringiovanimento cellulare è stato raggiunto dai medici della Harvard Medical School. E sarebbe la prova della possibilità di riprogrammare i neuroni cerebrali in diverse specie. Lo studio viene così descritto da David Sinclair, a capo della ricerca e docente di genetica alla Harvard Medical School. “Nell’occhio si trovano le cellule gangliari della retina, che estendono le proiezioni, chiamate assoni, dall’occhio al cervello. Gli assoni possono sopravvivere e rigenerarsi se sono danneggiati durante lo sviluppo, ma non durante la vita adulta” spiega.
Nel laboratorio di Sinclair, il genetista Yuancheng Lu cercava un modo più sicuro per ringiovanire le cellule. Ha “preso” tre dei quattro geni utilizzati dal team di Belmonte per gli studi sul cancro e li ha trasferiti in un virus in grado di portarli e inserirli nelle cellule bersaglio da “ringiovanire”. Ha anche “incluso” un interruttore molecolare che gli avrebbe permesso di accendere i geni dopo aver dato ai topi acqua con un farmaco che se trattenuto dalle cellule avrebbe coadiuvato i geni attivati nell’opera rigenerativa.
Poiché i mammiferi perdono la capacità di rigenerare i componenti del sistema nervoso centrale all’inizio dello sviluppo, Lu e i suoi colleghi hanno deciso di testare il loro approccio in questo campo. Hanno scelto i nervi retinali dell’occhio. Per prima cosa hanno iniettato il virus negli occhi per vedere se l’espressione dei tre geni avrebbe permesso ai topi di rigenerare i nervi feriti, cosa che ancora non era stata dimostrata. Lu ricorda la prima volta che vide un nervo rigenerarsi dalle cellule oculari ferite: “Era come una medusa che cresceva attraverso il sito lesionato. È stata una visione mozzafiato”.
Il team ha quindi dimostrato il raggiungimento dell’obiettivo: il miglioramento dell’acuità visiva nei topi con perdita della vista legata all’età o con una maggiore pressione all’interno dell’occhio, segno distintivo per esempio del glaucoma. L’approccio ha anche ripristinato i modelli epigenetici (i cosiddetti orologi epigenetici) in un livello più giovane nei topi e nelle cellule umane coltivate in laboratorio. Le lancette degli orologi erano tornate indietro. “Non è ancora chiaro come le cellule conservino un ricordo di uno stato epigenetico più giovane”, dice Sinclair, che ora ha avviato studi per scoprirlo.
Nel frattempo, Harvard ha concesso in licenza la tecnologia messa a punto con lo studio alla società di Boston Life Biosciences, che, afferma Sinclair, sta effettuando valutazioni precliniche sulla sicurezza al fine di svilupparla per l’uso nelle persone. Sarebbe un approccio innovativo per trattare la perdita della vista, afferma Botond Roska, direttore dell’Istituto di oftalmologia molecolare e clinica di Basilea, in Svizzera, ma probabilmente avrà bisogno di un notevole perfezionamento prima di poter essere utilizzato in sicurezza nell’uomo. La storia della ricerca sull’invecchiamento è costellata di promesse non mantenute di potenziali fontane di giovinezza che non sono mai riuscite a fare il salto a favore dell’uomo.
Più di dieci anni fa, Sinclair aveva già suscitato scalpore suggerendo che i composti, tra cui uno trovato nel vino rosso, che attivano proteine chiamate sirtuine fossero in grado di aumentare la longevità. Sebbene lui e altri continuino a studiare i legami tra sirtuine e invecchiamento, come osservati nei lieviti in laboratorio, l’idea che tali composti possano essere utilizzati per allungare la durata della vita umana non è ancora stata confermata ed è anche diventata controversa.
In definitiva, il test valido sarà quando altri laboratori cercheranno di riprodurre il lavoro di riprogrammazione e provare l’approccio in altri organi colpiti dall’invecchiamento, come cuore, polmoni e reni, afferma Judith Campisi, biologa cellulare del Buck Institute for Research on Aging di Novato, in California. Questi dati dovrebbero comunque emergere rapidamente. “Ora ci sono molti laboratori che stanno lavorando a questo concetto di riprogrammazione”, afferma Campisi. “E siamo fiduciosi”.
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Davvero magico sarebbe ???
Sarebbe davvero una magia ??