Il ceppo più letale sarebbe quello diffuso in Europa.

 

Il coronavirus è mutato in 30 diversi ceppi negli ultimi mesi e il più letale, secondo gli studiosi, è in Europa. La scoperta arriva da un gruppo di ricercatori dell’Università di Zhejiang che ha documentato decine di ceppi del virus, tra i quali 19 mai stati visti prima. Alcuni dei ceppi più potenti avevano molti punti in comune con quelli diffusi in Europa, secondo quanto riportato dal South China Morning Post. Nel frattempo, i ceppi più deboli erano simili a quelli trovati circolanti all’interno di parti degli Stati Uniti, come lo Stato di Washington. Gli studiosi si sono basati su un campione di 11 pazienti cinesi: i loro risultati sono i primi a dimostrare che la mutazione potrebbe influenzare la gravità della malattia. Arriva sulla scia di studi che affermano che gli Stati Uniti sono stati colpiti da due diversi gruppi di coronavirus, con il tipo A che domina la costa occidentale e il tipo B a New York.

 

Soltanto due ceppi? O ve ne sono altri?

Di ceppi in realtà ne sono stati individuati finora ben più delle lettere dell’alfabeto. Le mutazioni del virus sono molte di più ed alcune sono state riscontrate nello studio islandese, il più vasto studio genetico fin qui realizzato su circa 15 mila cittadini dell’isola. E che non ha riguardato solo i malati come in Cina, ma anche gli asintomatici. Risultato, restando in tema di mutazioni, è che su 5.000 volontari che non presentavano alcun sintomo ben 48 sono risultati positivi. Ma non si sono mai ammalati, finora: da oltre un mese. È stato eseguito il sequenziamento completo del genoma, che ha rivelato degli indizi su come si è evoluto il virus e sulla catena di trasmissione. Ben 40 varianti del virus sono state individuate, più di quelle dello studio cinese, e oltre 400 mutazioni, nella maggior parte dei casi minime e non tali da dare vita a una nuova variante, a un nuovo ceppo. Le varianti rientrano in tre gruppi (altri tre ceppi rispetto ai due dello studio cinese) che possono essere ricondotti a specifiche fonti di infezione, e secondo gli scienziati islandesi e danesi è “un esempio da manuale”. DeCode Genetics è la società che sta conducendo lo studio ed è stata in grado di rintracciare il modo in cui il virus è entrato in Islanda, una nazione insulare che ospita circa 365.000 persone. Dall’Italia, dall’Austria e dalla Gran Bretagna. Kári Stefánsson, direttore dell’islandese DeCode Genetics spiega: “Alcuni virus sono arrivati dall’Austria mentre in Italia c’è un altro tipo di persone infette. E un terzo tipo di virus è stato trovato nel Regno Unito: sette persone erano andate a una partita di calcio in Inghilterra”. Virus individuabili, perché con differenze che li fanno identificare. Varianti genetiche che possono fungere da “impronte digitali” del virus così da indicare in quale parte del mondo ha avuto origine.

 

Ma tutto ciò in soli 2 mesi, considerando che tutti questi dati si riferiscono a febbraio e marzo?

Probabilmente i mesi sono di più, se si considera un probabile paziente zero circolante in Germania a fine ottobre.

 

Perché muta il virus?

Man mano che evolvono, i virus presentano delle mutazioni. Il che può, o meno, indurli a reagire in modi diversi. Secondo gli scienziati l’infezione prima che si trasmettesse agli umani sarebbe rimasta nascosta per anni negli animali, forse addirittura decenni. E prima passata da diverse specie di animali, dai pipistrelli ai pangolini probabilmente. Infine, i primi passaggi dall’animale all’uomo, senza però ancora uscire dal seminato. Quindi, le prime mutazioni per arrivare a passare da uomo a uomo e alle condizioni da epidemia prima e pandemia dopo.

 

Secondo i ricercatori cinesi, il ceppo di coronavirus più letale sarebbe quello diffuso in Europa. Come mai?

Gli esperti che hanno condotto lo studio cinese hanno evidenziato come il coronavirus di tipo A si è diffuso negli Stati Uniti dalla Cina, mentre quello di tipo B, che ha colpito New York, sarebbe probabilmente arrivato dall’Europa. Gli scienziati ritengono che il coronavirus sia costantemente mutato per superare la resistenza del sistema immunitario in diverse popolazioni. La carica virale, ovvero la quantità di virus, analizzata sugli 11 pazienti cinesi, è stata valutata in tutte le cellule dopo una, due, quattro e otto ore, nonché il giorno successivo e altri due giorni dopo. I ricercatori hanno anche esaminato gli effetti citopatici (CPE), cioè l’insieme di cambiamenti morfologici che una cellula infettata dal virus può assumere, fino a tre giorni dopo l’esperimento. Stando a quanto osservato, i ceppi più aggressivi hanno creato fino a 270 volte una carica maggiore rispetto al tipo meno potente con una conseguente elevata morte di cellule. I ricercatori evidenziano come questa analisi dia risultati sulle mutazioni per quanto concerne la carica virale: “Questa scoperta suggerisce che le mutazioni osservate nel nostro studio possano avere un impatto significativo sulla patogenicità (la capacità di causare malattie) del SARS-CoV-2”. I ricercatori hanno trovato alcune delle mutazioni più mortali nello Zhejiang, dove si trova l’università. Queste mutazioni erano state osservate anche in diversi Paesi europei duramente colpiti, come l’Italia e la Spagna, prima di diffondersi a New York.

 

Ma questo rientra nella logica delle mutazioni del virus per sopravvivere alle difese immunitarie umane. Ecco perché inizialmente forse colpiva senza effetti letali, poi è mutato per arrivare a essere più letale in Europa dove si è insediato dopo la Cina. Praticamente, infettando e infettando, è come se fosse andato a scuola per colpire senza essere lui ucciso. Non tutti però ritengono che il ceppo più letale sia quello europeo.

Fabrizio Pregliasco, il virologo dell’università degli studi di Milano, è d’accordo sulle mutazioni in atto. “Previste e prevedibili”. Un po’ meno sulla letalità. “Le mutazioni di solito portano a una minore letalità, maggiore contagiosità e minore letalità”. A meno che il virus non abbia fatto un percorso del tipo: Cina senza manifestarsi troppo, Europa, di nuovo in Cina più cattivo e di nuovo in Europa ancora più cattivo. Ma questo al momento non può ancora dirlo alcun ricercatore, a parte forse gli islandesi. Secondo Allan Randrup Thomsen, virologo dell’Università di Copenaghen coinvolto nello studio islandese, “quanto da noi osservato su geni delle persone e del virus implica che la causa di Covid-19 alla fine diventerà più contagiosa, ma meno grave”. E aggiunge: “È simile al modello (epidemiologico) che vediamo con l’influenza e possiamo conviverci. Non sto dicendo che sopravviveranno tutte le varianti da noi osservate, ma c’è una tendenza a svilupparsi in quel modo. Ciò significa che il virus può infettare di più perché è meglio adattato, ma non sono le varianti di virus che permettono alla malattia di sopravvivere. Queste sono le varianti che causano meno malattie”.

 

In Lombardia, a parte tante altre concomitanti aggravanti su cui si polemizza, potrebbe essere entrata in azione una mutazione del coronavirus Sars-CoV-2 più cattiva?

Questa ipotesi l’ha avanzata giorni fa Maria Rita Gismondo, la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, centro di riferimento per Covid-19. “Ne avevo parlato con Ilaria Capua (la virologa italiana docente all’università della Florida) e abbiamo concordato che
in Lombardia c’è qualcosa che non comprendiamo. Si sono superati i morti della Cina in un’area infinitesimamente più piccola e in un tempo minore. Sta succedendo qualcosa di strano. C’è un’aggressività virale che non si spiega. Le ipotesi possono essere tutte valide, ma quella più forte è che il virus sia mutato”. Gli studi sembrano ora confermare l’ipotesi della Gismondo e della Capua.

Le mutazioni però sono un segno positivo per la maggioranza dei virologi. Quale il motivo?

Giorgio Palù, professore emerito all’Università di Padova, presidente uscente della Società europea di virologia e consulente del governatore del Veneto, Luca Zaia, risponde: “Perché sono i segnali che Covid-19 può diventare meno aggressiva, e l’umanità riuscirà a conviverci, come succede già oggi con l’influenza e con i raffreddori, virus questi ultimi che ci accompagnano da migliaia di anni”. Secondo Palù questo virus, che per il 98% ha una somiglianza genetica con quello del pipistrello, sta diventando più umano.

 

Il che significa?

Che si aprono due possibili vie: da una parte che il coronavirus si estingua da solo, come per esempio è già successo per la SARS, e dall’altra che il virus ritorni tra qualche mese, dopo essersi fatto una vacanza in qualche altro Continente, per esempio l’Africa come teme l’OMS, in forma più tranquilla. Sempre Palù: “Succederà quel che è capitato con altri coronavirus zoonotici, che si sono adattati all’uomo, si diffondono per via aerea, e tornano a trovarci nella stagione invernale.

 

Quindi, “autunno caldo” con nuovi focolai?

Fabrizio Pregliasco torna sul tema delle mutazioni: “Meno male che ci sono state e che ve ne siano altre, significa che questo coronavirus rientra tra quelli che hanno l’istinto alla sopravvivenza e alla diffusione. Per lui le mutazioni sono migliorative, nel senso che vuole diffondersi meglio, e per farlo diventa meno cattivo per diffondersi meglio, come hanno fatto nella storia i virus influenzali noti. Mentre un virus come Ebola non riesce a superare certe aree perché troppo “cattivo” e letale e quindi meno strutturato per diffondersi”. Tradotto: se gli ospiti muoiono la diffusione si spegne. Il Covid-19, invece, si è subito presentato come virus che tende a diffondersi.

 

Ma le mutazioni non mettono a rischio farmaci e vaccini?

In effetti, il virus si difende mutando. Diversi ceppi potrebbero confondere chi sta studiando come combattere il virus, che al momento sembra subire una mutazione al mese. Secondo i ricercatori cinesi e islandesi. Ne consegue che farmaci e vaccini devono tener conto di queste mutazioni che si accumulano. Ma esperienze storiche indicano che c’è sempre un punto debole stabile da attaccare. Con farmaci o con un sistema immunitario “addestrato”. Oppure, come per l’influenza stagionale, si può arrivare a modificare il vaccino di volta in volta. Pregliasco: “Comunque se inizia a perdere forza e aggressività, potremmo anche arrivare a convivere con questo coronavirus”. Come già sembra accadere oggi ai positivi asintomatici.

 

 

1 commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *