Il ministro della Salute è possibilista, ma ha dichiarato che “con 400 morti al giorno il ritorno del calcio non è la priorità”.
Calcio fase 2. Via libera alla ripresa degli allenamenti il 18 maggio? Sì, no, ni. Fumata grigia dal vertice fra il Ministro dello Sport, Spadafora, quello della Salute, Speranza e il mondo del calcio per capire se è possibile. E quindi poi il via alla coda del campionato da giugno, come già deciso in altri Paesi. Per esempio, l’Inghilterra che prevede il ritorno al calcio giocato da metà giugno. L’Italia spera poco prima. Ovviamente partite a porte chiuse per tutti i campionati che intendono ripartire.
La Federcalcio tedesca ha già annunciato di voler ripartire il 9 maggio, ovviamente a porte chiuse con tutte le misure sanitarie del caso e i vari rituali (ingresso in campo coi bambini, strette di mano, ecc) aboliti. Le squadre sono tornate ad allenarsi da tempo, lo Schalke 04 aveva aperto le danze a inizio aprile. In Spagna, gli allenamenti individuali o a piccoli gruppi dovrebbero riprendere il 4 maggio, una settimana più tardi la seduta in gruppo per poi tornare a giocare la terza settimana di giugno.
Molte le perplessità al rientro del sindacato dei calciatori. In Francia la situazione più caotica: si passa dalla proposta di riprendere dopo l’estate alla posizione della Lega che spera di riprendere le partite il 17 giugno per chiudere il campionato il 25 luglio con ripartenza della nuova stagione un mese dopo. Il sindacato calciatori però protesta per il “tour de force” e non è stato ancora definito un protocollo medico-sanitario che i club dovranno seguire. La Federcalcio olandese “non intende continuare” la stagione dopo che il governo nazionale ha esteso il divieto di eventi importanti fino al primo settembre a causa del coronavirus. Si va dunque verso lo stop definitivo. Come già deciso in Belgio e Scozia. In Portogallo si spera tra giugno e luglio, con “partite a porte chiuse oppure con posti riservati, ben distribuiti nello stadio e rispettando le norme di sicurezza”.
Il ministro della Salute, Speranza, è possibilista, “valuteremo il protocollo”, ma ha dichiarato anche che «con 400 morti al giorno per virus in Italia il ritorno del calcio non è la priorità». Stessi toni per il suo vice, Sileri: “Da medico vedo problemi nel calcio, che è sport di contatto.E gli stadi non riapriranno. Penso che prima possano riprendere nuoto, F1, golf”.
Il protocollo consegnato ai due ministri è quello varato dalla commissione medico-scientifica della Figc presieduta dal professor Zeppilli (capo della commissione). Protocollo che ha portato alle dimissioni il medico del Torino, Tavana, probabilmente perché non consultato prima della stesura finale del documento.
“Un protocollo molto rigido e con molte situazioni, come gli allenamenti, sigillate”, dice Walter Ricciardi, che non può dire di più né commentare, essendo consulente del ministro della Salute riguardo all’emergenza coronavirus. Comunque, un protocollo definito “credibile” dagli specialisti che l’hanno visto. Ovviamente i controlli sulla sua applicazione è fondamentale.
Ma la fumata grigia c’è anche tra le squadre di calcio, tra le società di serie A. Non tutte vogliono riaprire il campionato ora.
Una domanda divide medici, presidenti e calciatori: si riparte e se poi c’è un contagio? Se c’è un caso positivo. Tutti i contatti, da 3 giorni prima, del contagiato in quarantena, come da decreto del governo del 21 febbraio? O si possono definire regole di ingaggio diverse per la fase 2? Perché se tutti i contatti vanno in quarantena anche la coda di campionato rischia di andare in tilt.
La stessa domanda in Germania non ha diviso i rappresentanti delle società calcistiche, non ha innescato tempeste in Bunsesliga. La risposta: quarantena per il positivo e tamponi a tutti gli altri, ripetuti ogni 5-7 giorni. Se compaiono positività subito in quarantena. Ma forse non basta. “La Germania però ha monitorato buona parte della popolazione e ha un numero di nuovi casi e decessi ormai chiaramente sotto controllo”, dice Ricciardi. Partono da una posizione diversa da quella italiana. Comunque, durante le partite saranno ammesse solo 300 persone, tra calciatori, riserve, arbitri, allenatori, addetti agli spogliatoi, sanitari, accompagnatori e osservatori.
E “se c’è un contagio?”. Questa domanda è un mantra per la fase 2 del calcio italiano. Perché? Probabilmente per una nota al protocollo non gradita a ben sette squadre di serie A: “L’assunzione del rischio di un fatto non più imprevedibile potrebbe ricadere sul club”. Anche se poi il consiglio di Lega ha confermato all’ unanimità l’intenzione di portare a termine la stagione sportiva 2019-20, “qualora il Governo ne consenta lo svolgimento, nel pieno rispetto delle norme di salute e sicurezza”. E i calciatori? L’Aic apre al protocollo anti-coronavirus Figc: “Vogliamo tornare al più presto in campo con le più ampie garanzie di sicurezza per tutti, ma anche senza apparire privilegiati o usufruire di corsie preferenziali sui controlli sanitari”.
L’immagine ha un grande peso in tempi come questi, mentre gli operai tornano in fabbrica per la fase 2 e altri lavoratori cercano di far ripartire il Paese, infondendo anche fiducia alla popolazione.
Ma allora che cosa fare?
Per esempio, rispettando l’anonimato di chi ha avanzato questa ipotesi, riaprire il campionato facendo giocare le partite in città meno a rischio delle zone con ancora troppi casi positivi e decessi. Peraltro, aspettando di vedere come evolve la situazione da qui al 4 maggio. Quindi più trasferte in zone meno “rosse”. Ovviamente, tamponi e test sierologici per tutti prima e durante questa coda di campionato. I test che il virologo dell’università di Milano, Fabrizio Pregliasco, chiama “virologia”. Ma non c’è un modo per evitare la quarantena per tutti se c’è un contagiato in squadra?
“Si potrebbe ipotizzare una strada costosa, alla tedesca, test sierologici per vedere le immunoglobuline G e M e tamponi a tutti prima del ritorno agli allenamenti, e non solo ai calciatori. I test di virologia sono quelli di cui si parla in questi giorni. Vedere se ci sono immunizzati, ossia calciatori che sono risultati positivi in passato e poi negativizzati ma che hanno sviluppato anticorpi. Tamponi e test vanno ripetuti ogni settimana, per tenere sempre sotto controllo il quadro coronavirus. E per tentare di contenere le quarantene, disegnare il calendario, ma non so se è ora possibile, in modo che ogni squadra giochi ogni 14 giorni. Cioè le partite ogni settimana, ma sfalsate in modo tale che ogni squadra giochi ogni 14 giorni. Praticamente il tempo della quarantena”.