ora si deve capire come procedere con le riaperture.

 

 

Il coronavirus in Italia ha raggiunto il picco. L’annuncio arriva dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Spiega il presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, “siamo arrivati al plateau, vuol dire che siamo arrivati al picco. Ma non bisogna affatto abbassare la guardia adesso, perché il plateau è una sorta di pianoro, dal quale occorre scendere. E per adesso, questa inversione di tendenza ancora non c’è.

L’ottimismo non manca, per scaramanzia non lo si manifesta ma ormai nell’opinione pubblica italiana la parola “picco” è entrata nel quotidiano. Come lo “spread” in altri tempi. Ora c’è l’ospedale per la terapia intensiva al centro dell’”area rossa” più a più alto contagio d’Italia, per molto tempo d’Europa, ora sono arrivati medici ad aiutarci, materiali e soldi per fermare il Covid-19. Ora ci si informa su cosa sta accadendo in Cina, a Wuhan dove l’incubo è cominciato e che ora sta sperimentando un graduale ritorno alla normalità. Ora c’è chi si sbilancia su quando anche in Italia si comincerà a riaprire.

 

Dopo il picco, c’è una data sul possibile stop dei contagi?

In questi giorni di ipotesi ne sono state fatte molti, quasi tutte orientate verso maggio-giugno. Ma c’è chi ha cercato di andare oltre, di fissare un calendario del fine contagio Regione per Regione. L’Einaudi Institute for Economic and Finance, centro di ricerca universitaria di Roma sostenuto dalla Banca d’Italia, ha eseguito un’analisi delle curve epidemiche stilando il calendario.

 

Quale la prima Regione a contagi da coronavirus zero?

La prima dovrebbe essere il Trentino Alto d’Adige, l’ultima il 5 maggio la Toscana. La Liguria potrebbe essere la seconda Regione a vedere l’azzeramento il 7 aprile. La ricerca stabilisce tre possibili date sull’interruzione dell’epidemia in Italia, in base alle previsioni più ottimistiche o più pessimistiche, sulla base dei dati della Protezione Civile. Ipotesi che però, avvisano i ricercatori, non danno la misura del totale delle persone infettate, che è “probabilmente maggiore di un intero ordine di grandezza”. Una prudenza che vale soprattutto per la Sicilia, dove fino a una settimana fa il numero dei tamponi eseguiti era molto ridotto rispetto alla popolazione e dove tutt’oggi ci sono difficoltà nel reperimento dei reagenti per fare i test. Il giorno dei “contagi zero” in tutto il Paese, sulla base di queste curve, potrebbe essere il 5, il 9 o il 16 maggio. “Ma è un termine condizionato dalle differenze sostanziali di crescita tra una Regione e l’altra”, precisa la ricerca. Seguendo la curva più ottimistica, in Liguria, Basilicata e Umbria la data potrebbe essere addirittura il 7 aprile, l’8 in Valle d’Aosta, il giorno dopo in Puglia, il 10 in Friuli, l’11 in Abruzzo. In Sicilia il 14 aprile, così come in Veneto; in Piemonte il 15 aprile, nel Lazio il 16. Quindi, Calabria il 17 aprile e Campania il 20. Più tempo per la Lombardia, dove il giorno cerchiato di rosso sul calendario potrebbe essere il 22 aprile. L’Emilia Romagna raggiungerà l’obiettivo il 28 aprile. Ultima, come detto, la Toscana, che il 5 maggio (nell’ipotesi migliore) potrebbe toccare quota zero. Nello studio mancano tre regioni ovvero Marche, Molise e Sardegna.

 

Il che significa riapertura?

“È ancora molto prematuro parlare di riapertura“, dice Massimo Galli, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano. E spiega: “Il fattore cruciale della graduale ripresa sarà se e quanto l’infezione riuscirà ad estendersi nel Paese e in che misura coinvolgerà le Regioni del Centro-Sud. Questo condizionerà in maniera decisiva il futuro dell’epidemia e della riapertura complessiva delle attività”. Perché una Lombardia a zero dovrà mantenere la guardia alzata se la Toscana, per esempio, non ha ancora raggiunto l’obiettivo.

 

E a fine maggio?

Una riapertura del Paese e delle varie attività “è realisticamente pensabile per la fine di maggio ma ciò solo se i dati indicheranno una reale inversione di tendenza nella curva epidemica e se si sarà messo a punto un indispensabile piano di procedure di sicurezza”, sostiene il virologo della Università di Padova Andrea Crisanti

 

Procedure di sicurezza?

“Bisognerà garantire dispositivi di protezione individuale (Dpi) a tutti gli operatori sanitari ma anche ai lavoratori, a partire dalle mascherine ad alta protezione. Per la riapertura delle aziende e delle altre attività sarà inoltre necessario pensare ad un piano di diagnostica mirato, con test con tampone per tutti i lavoratori alla riapertura da ripetere successivamente a campione. E cruciale sarà pure elaborare sistemi di tracciamento dei lavoratori, anche con app, per un rintraccio immediato di tutti i contatti nell’eventualità emerga qualche caso di positività”, spiega Crisanti. “Senza un piano di sicurezza, sono convinto che l’epidemia ricomincerà”.

 

La riapertura, quindi, andrà scaglionata, per tipologia di attività produttive e anche su base regionale. Come?

Prima le attività essenziali e poi il resto, e andrebbe fatta scaglionando anche per Regioni. Per esempio, le Regioni con meno casi e più isolate, come Sicilia e Sardegna, potrebbero sperimentare per prime tale modello di riapertura.

 

Quindi non si tornerà subito alla vita normale come se nulla fosse accaduto?

Bisognerà continuare a mantenere la distanza di almeno un metro dagli altri e indossare la mascherina nei luoghi pubblici. Ma prima di maggio non saranno possibili passeggiate, né potremo frequentare bar e ristoranti. Le attuali restrizioni sono in vigore fino al 12 aprile, ma il nuovo provvedimento, che entrerà in vigore il 4 aprile prolungherà la scadenza fino al 18 aprile. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, nei giorni successivi potrebbe cominciare la riapertura di alcune attività imprenditoriali, legate alla filiera alimentare e farmaceutica, finora non comprese tra i servizi essenziali.

 

Pronti via, chi riapre prima?

Dopo Pasqua potrebbero essere riaperte imprese di meccanica legata all’agroalimentare e quelle chimiche, ma dovranno dimostrare di essere in regola con le norme sulla distanza di sicurezza tra i dipendenti ed essere dotate di dispositivi di protezione. Si stanno valutando test sierologici per individuare chi ha avuto il Covid-19. Chi è stato contagiato non rischia di infettarsi di nuovo, almeno per un po’, quindi può tornare subito al lavoro. Al vaglio aperture scaglionate a seconda dei tipi di esercizi commerciali. All’inizio, via libera a quelli che non hanno particolari contatti con i clienti, come artigiani e chi fa riparazioni. Di conseguenza, estetiste, parrucchieri e palestre dovrebbero aspettare di più. Bar e ristoranti dovranno assicurare il distanziamento ed evitare contatti davanti ai banconi. Cinema e teatri saranno il fanalino di coda delle riaperture, ma dovranno anche loro far rispettare la distanza. Ancora incerta invece la riapertura delle scuole, mentre alcuni pensano addirittura di interrompere l’anno scolastico. Nella prima metà di maggio potrebbe riprendere il campionato di Serie A, ma a porte chiuse.

 

Si è parlato anche di prolungare le restrizioni in base alla fascia d’età?

Per Crisanti non è significativo il criterio dell’età: “Il rischio è per tutta la società non per il singolo individuo. Tenere a casa gli anziani ma far uscire gli altri che poi possono infettarli non ha molto senso”. Secondo il virologo milanese Fabrizio Pregliasco “anche dopo metà aprile gli anziani dovranno stare ancora a casa, e i pronto soccorso dovranno essere dotati, oltre ai cerotti, di stock di mascherine, in attesa di una seconda ondata”.

 

Ma allora ci sarà o no una seconda ondata di Covid-19?

“Non si può escludere: con queste misure di mitigazione abbiamo tolto la punta alla curva, ma il virus non sparirà all’improvviso”. Pregliasco e Crisanti confermano i loro timori.

 

Che cosa ci dice l’esperienza cinese, con la graduale riapertura delle attività nella provincia di Hubei (60 milioni di abitanti) e nella sua città principale Wuhan?

Il ritorno graduale alla normalità è sotto la lente di ingrandimento degli specialisti di tutto il mondo, inglesi e americani in primis. La Cina ha attivato e mantiene un ampio monitoraggio Covid-19 a livello nazionale. Le province rilasciano a tutti i residenti un codice QR, un tipo di codice a barre contenente informazioni che vengono rivelate durante la scansione, in base ai loro dettagli sanitari e alla cronologia dei viaggi. Se una persona è rimasta in aree ritenute sicure o è stata messa in quarantena e risultata negativa per la malattia, gli viene assegnato uno “status verde”, il rischio più basso, che consente di attraversare i confini provinciali, entrare negli ospedali e nelle aree residenziali, e guidare la metropolitana e treni.

La vita in Hubei non è ancora tornata alla normalità, ma le persone stanno lentamente lasciando le loro case e stanno tornando al lavoro e le fabbriche stanno riaprendo. Università, scuole e centri di assistenza all’infanzia rimangono chiusi in attesa di “una valutazione scientifica della situazione di controllo dell’epidemia”, affermano le autorità governative. E viaggiare dentro e fuori dalla capitale provinciale, Wuhan, rimane limitato fino all’8 aprile.

 

Che cosa si è osservato di cui tener conto?

Intanto, in attesa di un vaccino, e adottando una strategia di massima attenzione si ritiene che almeno per due anni le norme di precauzione dovranno restare alte. Poi è stato scoperto che circa la metà dei pazienti Covid-19, dopo le terapie e la scomparsa di tutti i sintomi hanno ancora in circolo il virus per almeno altri 8 giorni. “Quindi stanno consigliando ancora 15 giorni di isolamento dopo la guarigione”, conclude Pregliasco.

 

Ma in Italia, quando il Nord ripartirà gradualmente, a parte il rischio di una seconda ondata, come sarà la situazione nel resto d’Italia? Al Sud, dove i casi di contagio sono comparsi dopo?

“È la nuova frontiera dell’epidemia in Italia”, avverte Pregliasco. «Per ora – spiega il virologo milanese – ci sono focolai più ristretti ma bisogna prepararsi per tempo al peggio ed al rischio di un’ondata». Va ricordato come al Nord l’epidemia è partita in modo subdolo, ha rallentato e poi ha avuto uno sviluppo verticale repentino. Il rischio è che questa modalità possa succedere anche al Sud.

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