Luspatercept in alternativa alle trasfusioni per la terapia delle sindromi talassemiche.
Lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha coinvolto 65 centri in 15 diversi paesi nel mondo, illustra i risultati che hanno portato alla registrazione di un farmaco in grado di ridurre il fabbisogno trasfusionale nei pazienti affetti da talassemia. La ricerca è stata coordinata da Maria Domenica Cappellini del’Università di Milano.
La talassemia è una patologia ereditaria, frequente in Italia, caratterizzata da una ridotta o addirittura assenta produzione delle catene globiniche dell’emoglobina che nella forma severa, per la sopravvivenza, richiede una terapia con trasfusioni di sangue ogni 2/3 settimane per tutta la vita. Si tratta quindi di una grave malattia che si complica anche per le comorbidità conseguenti alla terapia trasfusionale e che richiede in associazione alle trasfusioni una terapia che rimuova il ferro (terapia ferrochelante) accumulato con le trasfusioni stesse. Il trapianto di midollo potrebbe essere una terapia curativa ma purtroppo è perseguibile in un numero limitato di soggetti in quanto il donatore di midollo deve essere compatibile al 100% con il ricevente. La terapia genica è in fase di studio ma ancora i risultati sono preliminari ed il costo della procedura ne potrà limitare l’utilizzo.
Luspatercept è un farmaco inizialmente sperimentato per trattare l’osteoporosi che in realtà si è rivelato avere un effetto sulla formazione dei globuli rossi ed in particolare nella fase terminale della loro maturazione (riducendo la quota di eritropoiesi inefficace nelle condizioni in cui essa è prevalente), e pertanto corregge l’anemia. Le varie forme di talassemia si caratterizzano proprio per avere una elevata quota di eritropoiesi inefficace dovuta allo sbilanciamento tra le globine che dovrebbero formare l’emoglobina. Negli studi di fase 1 e 2 i risultati e la sicurezza del farmaco hanno consentito di disegnare lo studio registrativo di fase 3 i cui risultati sono presentati nel lavoro.
In sintesi si è visto analizzando una coorte di pazienti talassemici trattati con il farmaco rispetto ad una coorte trattata con placebo che più del 70% dei pazienti in terapia hanno ridotto del 33% ed il 40% hanno ridotto di oltre il 50% il fabbisogno trasfusionale nel periodo di osservazione di un anno. Alcuni pazienti nell’estensione dello studio hanno raggiunto l’indipendenza dalla trasfusione. I risultati sono straordinari con un significativo impatto sulla qualità di vita dei pazienti, se si considera anche il fatto che il farmaco viene somministrato sotto cute ogni 21 giorni in alternativa alla terapia trasfusionale.
Questo è il primo studio che introduce una terapia farmacologica in alternativa alle trasfusioni per la terapia delle sindromi talassemiche che nel mondo, soprattutto in alcuni paesi del mediterraneo, nel sudest asiatico ed in medio oriente rappresentano un problema di salute pubblica, la cui gestione è spesso inadeguata per carenza e sicurezza del sangue. I risultati hanno portato alla registrazione del farmaco sia da parte di FDA che EMA e a breve è auspicabile che possa essere disponibile sul mercato. “I risultati di questo studio sono incoraggianti anche per l’impiego di tale farmaco in altre patologie che si caratterizzano per presenza di eritropoiesi inefficace quali le sindromi mieolodisplastiche, le diseritropoiesi congenite” commenta Maria Domenica Cappellini, coordinatrice della ricerca.