Un cerotto applicato al petto monitora h24 il cuore con elettrocardiogramma e il movimento del paziente.

 

Un nuovo sensore indossabile, che funziona in concomitanza con la tecnologia di intelligenza artificiale, è in grado di aiutare i medici a scoprire da remoto peggioramenti dell’insufficienza cardiaca molti giorni prima che il soggetto abbia una crisi.

È stato sviluppato all’University of Utah Health e alla Salt Lake City Health Care System e può evitare da una a tre riospedalizzazioni nelle settimane seguenti alle dimissioni ospedaliere per insufficienza cardiaca, migliorando la qualità di vita dei malati, perché consente ai medici di intervenire prontamente e preventivamente ai primi sintomi di peggioramento.

Infatti un terzo delle persone dimesse dall’ospedale vengono ricoverate di nuovo nel giro di tre mesi lamentando sintomi come fiato corto, fatica e ritenzione idrica.

È stato fatto uno studio, pubblicato su Circulation: Heart Failure, su cento soggetti di età media di 68 anni, che al momento delle dimissioni ospedaliere sono stati muniti del cerotto da indossare per tre mesi.

I dati raccolti dal sensore sono stati raccolti dallo smartphone via Bluetooth e poi inviati a un server sicuro dove sono stati elaborati e analizzati registrando il ritmo cardiaco, quello respiratorio, la postura del corpo, il sonno e i passi effettuati oltre ad altri parametri.

L’intelligenza artificiale ha poi stabilito dei parametri di normalità per ciascun paziente e ogni qual volta i dati deviavano da quelli veniva emessa un’allerta. In questo modo, dicono i risultati dello studio, è stato predetto il bisogno di ospedalizzazioni nell’80% dei casi e con un anticipo medi di quasi undici giorni.

“Grazie all’impiego del sensore e dell’intelligenza artificiale possiamo dunque prevenire il peggiorare delle condizioni di salute dei pazienti, che normalmente possono peggiorare nei primi 90 giorni dopo un ricovero, ed evitare ospedalizzazioni dell’ultimo minuto, quando i sintomi sono già importanti e riuscendo così a migliorare la qualità di vita dei malati e una più accurata vigilanza sulle loro condizioni” affermano gli autori dello studio.

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