Un progetto di SIMV-FIV per informare e formare sulle malattie fumo-correlate.
La Società italiana di Medicina Vascolare (SIMV) e la Fondazione italiana vascolare (FIV), insieme a PMI Science, hanno deciso di agire attivamente contro il fumo della sigaretta tradizionale. Quella che “brucia” l’albero vascolare. Un albero che si può salvare. E hanno dato vita ad un progetto che “vuole rappresentare un esempio positivo e collaborativo tra divulgatori scientifici, operatori sanitari e il mondo dell’industria”, spiega Luigi Antignani, responsabile per i rapporti internazionali della SIMV. “Per arrivare a creare un percorso virtuoso finalizzato alla diffusione della cultura e del progresso scientifico in generale”.
Il progetto “Non bruciamo l’albero vascolare” è stato presentato in una conferenza stampa a Roma, il 18 febbraio e il 19 febbraio ha cominciato il suo tour a Verona.
L’iniziativa scientifica pone l’attenzione sul problema sempre più emergente del fumo e delle malattie ad esso correlate. E per questo prevede una serie di incontri sul territorio nazionale con format scientifico-informativo. Incontri finalizzati anche alla realizzazione di una campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell’intera classe medica sul rischio delle patologie fumo-correlate.
“Il danno globale di malattie correlate al fumo è particolarmente elevato con oltre 7 milioni di morti l’anno. Questa situazione si prevede possa peggiorare nei prossimi anni soprattutto nelle popolazioni con limitate risorse sanitarie. Il fumo attivo e passivo è direttamente nocivo sull’apparato cardiaco e vascolare (circa 30 mila morti l’anno in Italia). Quando un fumatore smette di fumare l’ultima sigaretta, occorrono 15 anni perché il rischio di contrarre malattie cardiache sia sovrapponibile a quello di una persona che non ha mai fumato”, dice il professor Enrico Arosio, presidente della SIMV. Che continua: “Da diversi anni è riconosciuto che le persone muoiono di malattie fumo-correlate a causa di sostanze presenti nel fumo, non a causa della nicotina. Smettere di fumare è quindi la priorità nella prevenzione perché, come dice la scrittrice Emanuela Breda, ‘il fumatore ardentemente accende la sigaretta; la sigaretta ardendo spegne il fumatore’. Pertanto, dobbiamo evitare di bruciare il mondo in cui viviamo e, in primis, noi stessi”.
Giusto, ma non sembra poi così facile come sembra a parole. Risponde Arosio: “Smettere di fumare non è semplice perché la dipendenza da nicotina è tra le più complesse da debellare. Considerando che le misure proibizionistiche in genere non hanno mai portato a particolari risultati, una valida alternativa sembrano essere i prodotti a base di nicotina senza combustione.
A tal proposito, studi hanno dimostrato una riduzione di sostanze dannose o potenzialmente dannose nelle sigarette elettroniche e nei recenti prodotti a tabacco riscaldato rispetto al fumo di sigaretta. Infatti, in questi prodotti, accanto ad una capacità simile di ‘fornire’ nicotina, viene eliminato il processo di combustione che risulta essere una delle principali cause delle malattie fumo-correlate quali si verificano con l’impiego di sigarette e altre forme di tabacco”.
Consapevoli di tale situazione, nel 2018 le Autorità regolatorie dei principali Paesi del mondo occidentale hanno sostanzialmente concluso che “la drastica riduzione dei livelli di sostanze dannose nelle emissioni generate dai prodotti a tabacco riscaldato riduce l’esposizione a sostanze tossiche fino al 90% rispetto alle sigarette tradizionali. E nel 2019, l’Australia, tradizionalmente molto restrittiva nei confronti del tabacco, ha segnalato che “le nuove linee Guida raccomandano l’uso delle sigarette elettroniche nei fumatori che vogliono smettere ma che non hanno avuto successo con i farmaci attualmente disponibili”.
Tutte informazioni che saranno divulgate tramite il progetto “Non bruciamo l’albero vascolare”. L’iniziativa scientifica pone l’attenzione sul problema sempre più emergente del fumo e delle malattie ad esso correlate.
Sono previsti 5 incontri regionali (Verona, Roma, Palermo, Cagliari e Catanzaro) con l’obiettivo di:
- Educare sugli effetti del fumo sul corpo umano.
- Sensibilizzare la classe medica sull’impatto del tabagismo e delle malattie ad esso connesse, e sull’importanza dello stile di vita per tutelare la salute individuale e collettiva.
- Informare la classe medica sulle nuove alternative al fumo di sigaretta come opzione per tutti quei fumatori che hanno fallito nel loro tentativo di smettere di fumare.
- Elaborare delle linee guida dedicate al paziente fumatore con problematiche cardiovascolari che possano integrarsi all’interno dei PDTA e che supportino i percorsi all’interno dei Centri Antifumo.
“Coerentemente con questa impostazione, sta prendendo sempre più piede un’impostazione legislativo-regolatoria basata sulla riduzione del danno, la quale fa specifico riferimento al contributo che l’innovazione può offrire ai fini del miglioramento degli stili di vita delle persone rendendo disponibili produzioni, processi e prodotti in grado di modificare abitudini dannose per la salute”, sottolinea Antignani. E continua: “Le patologie che riguardano l’albero vascolare sono molto sensibili al fumo delle sigarette tradizionali. Dovrebbe essere prioritario smettere. Ma se chi soffre di queste e di molte altre patologie fumo-correlate non riesce proprio a smettere, visto che continua a fumare almeno che fumi bene. Non eliminiamo le patologie ma riduciamo i rischi. E ci sono dati scientifici che dimostrano una reale riduzione del rischio”.
Esistono due filoni di pensiero riguardo alla relazione fra la prevenzione e il principio di riduzione del danno: il primo prevede l’applicazione del principio di riduzione del danno solo nei casi in cui ogni azione e iniziativa preventiva sia fallita; il secondo, invece, afferma l’esistenza di un continuum sinergico fra prevenzione e principio di riduzione del danno, che agiscono parallelamente al fine di preservare e migliorare lo stato di benessere e salute dei cittadini. “È importante sottolineare – conclude Antignani – come la riduzione del danno non deve sostituire le politiche di prevenzione e controllo, ma integrarle, costituendo una componente diversa dello stesso disegno di politica sociale”.