La scoperta arriva da una ricerca italiana.

 

 

Una gravidanza ritardata potrebbe essere solo espressione di un meccanismo naturale di difesa comune a tutte le specie. È stato scoperto da una ricerca italiana. Una donna che svolge un lavoro stressante, ha carenze alimentari, vive situazioni che l’organismo registra come pericolose, può «ordinare» al suo embrione di arrestare momentaneamente il suo sviluppo. Di mettersi in «sonno». In letargo. Probabilmente fino a un massimo di cinque mesi (ma questo è tutto da stabilire).

A scoprirlo è stata l’università di Teramo che ha ripreso studi degli anni 60 e 80 finiti poi nel dimenticatoio. Lo studio è stato pubblicato tempo fa dall’autorevole rivista scientifica PlosOne. Anche gli embrioni umani, quindi, possono andare in letargo.

È noto da tempo che gli insetti in fase di sviluppo attivano un meccanismo di blocco, chiamato diapausa, per difendersi da condizioni ambientali avverse. Poi si è scoperto che questo accade anche negli embrioni con un meccanismo neuro-ormonale in grado di fermarne momentaneamente la divisione cellulare per riattivarla al momento opportuno completando lo sviluppo dell’essere fino alla nascita.

Lo si è visto e studiato in orsi (letargo), foche (condizioni ambientali avverse, dal poco cibo al clima), topi, canguri e altri marsupiali. L’università di Teramo è andata oltre: la diapausa embrionale accade anche in pecore, mucche e conigli. Mammiferi che di norma, essendo allevati e quindi senza gli stessi stress ambientali che incidono sulle specie selvatiche, non avevano mai mostrato pause dello sviluppo embrionale. La diapausa embrionale è caratteristica di tutte le specie, con tempi di durata e modalità diverse. È nelle corde genetiche. Anche in quelle umane.

L’uovo fecondato c’è, si insedia in utero, avvia la divisione cellulare e, se occorre, si ferma. Per poi ripartire, completando lo sviluppo fino alla nascita. Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e già direttore del Laboratorio di biologia dello sviluppo dell’università di Pavia, parla di «scoperta dalla portata rivoluzionaria». Prima dei commenti, però, è giusto ricordare il commento a caldo di chi ha condotto il lavoro finanziato nell’ambito del programma europeo Ideas.

La ricercatrice Grazyna Ptak, che ha condotto il suo studio nel Laboratorio di Embriologia diretto da Lino Loi, ha coordinato il team dell’università di Teramo. «È un fenomeno del quale dobbiamo iniziare ad occuparci seriamente, un campo da esplorare – ha detto Grazyna Ptak -. In natura l’embrione può andare “a dormire” anche per periodi molto variabili, dai 15 giorni nel topo ai 12 mesi nei canguri e nei visoni. Nell’uomo la durata massima può essere di cinque mesi».

E potrebbe essere questa la spiegazione di tante gravidanze che vanno oltre i nove mesi? «Sì – ha risposto Ptak – e, se fosse così, non sarebbe necessario ricorrere alla stimolazione del parto (una tecnica alla quale in Italia si ricorre spesso) nè al parto cesareo. Lo stop allo sviluppo dell’embrione potrebbe essere un fenomeno adattativo che entra in azione ogni volta che lo sviluppo viene minacciato». Negli animali, per esempio, dalla bassa temperatura, dalla carenza di cibo. Nell’ uomo, per esempio, quando la madre è in condizione di stress. Certo andrebbe monitorato per essere sicuri di un ritardo naturale, che questo studio dimostra possibile.

Il «sonno» dell’embrione potrebbe riguardare molto da vicino anche la ricerca sulle cellule staminali, così come la lotta ai tumori. Nel primo caso, esperimenti sugli embrioni di topo hanno dimostrato che il periodo di letargo è il migliore per prelevare le cellule staminali. Nel caso dei tumori, invece, si è visto che le cellule malate si riparano se messe nell’utero quando accoglie un embrione in letargo.

L’entusiasmo manifestato da Redi sembra giustificato: «È straordinario che un meccanismo come questo si sia conservato lungo la storia dell’evoluzione». E «adesso – ha aggiunto – sappiamo che questo meccanismo è comune a tutti i mammiferi». Lo scienziato pavese andò oltre: «Alla luce dei nuovi dati, sarà ora possibile capire meglio la fisiologia dell’embrione. Per esempio, riconoscendo il momento in cui si insedia fino al periodo nel quale lo sviluppo si blocca e l’istante in cui riprende ad essere attivo».

In conclusione, per Redi, è molto probabile che i risultati raggiunti dall’università di Teramo e pubblicati da PloSOne potrebbero «costringere a rivedere tutta la biologia della riproduzione e le applicazioni in medicina». Al momento però non risulta vi siano stati sviluppi su quanto auspicato da Redi.

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