Le vittime dell’amianto e i loro familiari di nuovo protagonisti in un processo penale.
Il 24 gennaio scorso, nel pomeriggio, il giudice dell’udienza preliminare (Gup) di Vercelli Fabrizio Filice ha deciso che l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny sarà processato in Corte d’Assise a Novara per omicidio volontario plurimo. Schmidheiny dovrà rispondere della morte di 392 casalesi (62 ex lavoratori dello stabilimento Eternit di Casale e 330 cittadini). Le vittime furono per molto tempo esposte alla contaminazione ambientale delle fibre di amianto sparse nell’aria. E si allontana anche lo spettro della prescrizione, di cui l’imprenditore aveva già usufruito (prosciolto per sopraggiunta prescrizione) a seguito di una condanna in appello a 18 anni di reclusione. Si trattava dell’unico imputato rimasto nel processo Eternit Bis. Il processo bis è stato spacchettato in più filoni per competenza territoriale: a Torino, l’imprenditore è già stato condannato nel 2019 a 4 anni ma per omicidio colposo in relazione al decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo. Altri due processi sono in corso a Napoli e Reggio Emilia.
L’inchiesta bis riguarda i decessi legati a diverse filiali italiane della multinazionale Eternit, tra cui quella di Casale Monferrato, ed è scaturita dopo la sentenza della Cassazione che aveva dichiarato prescritto, come detto, il processo per disastro doloso. Nel maxi-processo Eternit Uno, il proprietario Schmidheiny nel 2014 era stato infatti condannato a 18 anni in primo e in secondo grado, ma poi lo aveva appunto salvato la prescrizione. Se Schmidheiny fosse stato mandato a processo per omicidio colposo (e non volontario), c’era nuovamente la possibilità che il reato venisse prescritto. Il gup ha invece confermato il capo d’accusa, accogliendo la richiesta dei pubblici ministeri di Vercelli Francesco Alvino e Roberta Brera e del pubblico ministero torinese Gianfranco Colace, che si era occupato del caso Eternit insieme all’allora procuratore aggiunto (ora in pensione) Raffaele Guariniello.
“Le vittime dell’amianto meritano di essere riconosciute dopo la batosta che ci ha dato la Cassazione”. Sono queste le parole con cui la Presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto (Afeva) Giuliana Busto ha commentato la decisione del Gup di Vercelli al termine dell’udienza preliminare del processo Eternit Bis. “Siamo delusi della decisione, confidiamo nella giustizia e nel fatto che sul merito ci diano ragione”, commenta Astolfo Di Amato, uno dei legali di Schmidheiny, che solo un mese fa in un’intervista al giornale svizzero Nzz am Sonntag aveva dichiarato: “Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno” per aggiungere anche che l’Italia è “uno Stato fallito“.
I magistrati hanno insistito proprio sul fatto che Schmidheiny fosse perfettamente consapevole dei rischi che comportava la fibra di amianto, perché le conoscenze scientifiche, all’epoca, erano già disponibili. Hanno poi sottolineato come l’imprenditore abbia messo in atto un programma di controinformazione affinché i lavoratori non sapessero degli effetti devastanti delle polveri.