Esattamente tre mesi fa è stato annunciato che per la prima volta è stato fotografato un buco nero.
L’impossibile che diventa possibile. Vedere quello che per definizione non su può vedere.
Al di là dei risvolti scientifici e mediatici dell’impresa, quello che colpisce è il tipo di buco nero soggetto della foto storica. È gigante e si trova nel centro della galassia M78, a parecchie decine di milioni di anni luce da noi. Non è un buco nero formatosi dopo il collasso di una stella (come quelli individuati con le onde gravitazionali). É un immenso oggetto che può contenere milioni di Soli. Anche nel centro della nostra galassia ce n’è uno. Un po’ più piccolo ma sempre di dimensioni mostruose (le sue “urla” si capitano in direzione della costellazione del Sagittario).
Anzi, gli astrofisici ritengono che ce ne sia uno di tali fattezze all’interno di ogni galassia. L’immagine è dunque questa: nel cuore di ogni agglomerato di milioni di milioni di stelle, luminose, festanti, e che irradiano una gamma infinita di colori, vi è un posto oscuro, impenetrabile, da dove nulla in teoria può uscire una volta che vi è entrato. Che nasconde chissà quali misteri e quale passato ormai non più mostrabile. Il limitare tra l’oscuro oggetto, infinito nel tempo, e il resto della sfavillante galassia si chiama orizzonte degli eventi.
Varcato quel limes, ogni cosa cade nel perenne oblio. Passato e presente non hanno più senso. Tutto e niente sono identici e ciò che vi entra è custodito in eterno da questo nero scrigno che sta proprio nel cuore di ogni galassia, a ricordarci che anche in tutto ciò che è brillante e splendente c’è un posto recondito di cui nessuno sa nulla. E gli eventi, una volta prossimi al nostro orizzonte, possono farci cadere in un dimenticatoio che diventa una perenne prigione. Anche i nostri lamenti e grida di strazio da lì non escono. Più.