Una comunicazione della diagnosi poco esaustiva, la necessità di un approccio integrato alla persona con la presenza di un team multidisciplinare, maggiore accesso al supporto psicologico e ai test genetici, colloqui più lunghi con i medici curanti, facilitazioni per effettuare i controlli e più informazioni sui centri di riferimento dotati di unità senologiche. I risultati di un’indagine conoscitiva rivolta alle donne e agli uomini con diagnosi di tumore della mammella nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto” promossa dal Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” rivelano le criticità su cui intervenire.    L’iniziativa attraverso una serie di questionari online vuole raccogliere le testimonianze delle pazienti e dei pazienti che convivono con diverse tipologie di tumori mammari per ascoltarli e recepirne bisogni ed esigenze da portare all’attenzione delle istituzioni.

       

 

 

Le donne e gli uomini italiani dimostrano una discreta consapevolezza rispetto ai temi concernenti la salute del seno.

Tuttavia, c’è ancora spazio per sensibilizzare quella parte della popolazione che per diverse ragioni non è stata ancora raggiunta da una adeguata comunicazione.

Non mancano zone d’ombra tanto che le pazienti e i pazienti che convivono con un tumore della mammella rivendicano maggiori spiegazioni al momento di ricevere la diagnosi, la presenza di un team multidisciplinare per un approccio integrato che consenta la presa in carico globale della persona, il supporto psicologico, più tempo per i colloqui con i medici curanti, facilitazioni dei percorsi per effettuare i controlli e maggiori informazioni sulla malattia e sui centri di riferimento dotati di Unità senologiche.

Soddisfacente l’adesione allo screening mammografico offerto gratuitamente dal SSN e all’autopalpazione delle mammelle. Molto resta da fare, invece, per rendere accessibili a tutti i pazienti i test genetici, che al momento sono offerti a meno di 1 paziente su 2.

È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sul tumore della mammella condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che ha voluto indagare le esperienze e le esigenze delle pazienti e dei pazienti durante il percorso di cura per portare all’attenzione delle Istituzioni eventuali disagi, bisogni non soddisfatti e proposte per trovare soluzioni adeguate.

I dati dell’indagine sono stati presentati ieri durante una diretta Facebook, un nuovo appuntamento di una serie di incontri sul web nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, che ha avuto come focus proprio i tumori della mammella.

A commentare i dati dell’indagine conoscitiva condotta sulle pazienti e sui pazienti nei mesi precedenti e a rispondere alle domande del pubblico collegato sono state Mariangela Fantin, Presidente A.N.D.O.S. Udine – Associazione Nazionale Donne Operate al Seno, Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano, Annamaria Mancuso, Presidente Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” e Marina Morbiducci, Patient Advocate Fondazione IncontraDonna.

«Il Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” è un progetto di advocacy nato con l’intento di affiancare e supportare i pazienti affetti da tumore lungo il percorso di cura, la nostra missione è non lasciarli mai soli e tutelarne i diritti sul piano assistenziale e lavorativo – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che aggiunge: sono decine di migliaia ogni anno le persone cui viene diagnosticato un tumore della mammella, in maggioranza donne sovente in età ancora produttiva e sono in aumento i casi giovanili. L’indagine, realizzata con l’adesione al questionario online di un elevato numero di rispondenti, mette in luce un aspetto molto importante, vale a dire che sul nostro territorio nazionale la presa in carico e l’assistenza di questi pazienti è decisamente buona, di alta qualità e ampiamente diffusa a livello regionale. Tant’è vero che metà del campione è stato preso in carico da una Breast Unit e un terzo da un reparto oncologico. Un altro dato significativo è la consapevolezza della popolazione rispetto al tumore mammario e l’adesione regolare ai programmi di prevenzione secondaria (screening mammografico). Certo le criticità su cui lavorare non mancano: bisogna ampliare l’offerta dei test genetici e ampliare lo screening ad altre fasce d’età specie per i soggetti giovani con storia famigliare e a maggiore rischio. E poi bisogna pensare a potenziare le strutture, migliorare l’organizzazione, i percorsi per i controlli, allungare i tempi di incontro medico-paziente, il sostegno psicologico e rivolgere maggiore attenzione alla quotidianità dei pazienti con uno sguardo alla riabilitazione e ai postumi dell’intervento chirurgico. Ancora una volta il nostro Gruppo si impegna attraverso un costante dialogo a far arrivare ai decisori politici nazionali e locali proposte per soluzioni fattibili che tengano conto in primis dei bisogni dei malati».  

L’indagine ha evidenziato una buona conoscenza della prevenzione secondaria con adesione di 1 paziente su 2 allo screening mammografico gratuito cui consegue nella maggioranza dei casi la scoperta della malattia in fase iniziale con chiari vantaggi in termini di possibilità di cura e sopravvivenza.

Tuttavia, l’accesso ai test genetici appare ancora lacunoso sul territorio nazionale mentre vi è un’ampia disponibilità di opzioni terapeutiche utilizzate nei diversi tipi di neoplasia e nelle diverse fasi di malattia.

Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza delle pazienti e dei pazienti che in 1 caso su 2 hanno un’età compresa tra i 61 e i 75 anni, mentre nel 10,8% dei casi sono ancora in età fertile.

La prevenzione secondaria (mammografia – ecografia) del tumore della mammella è abbastanza nota nella maggior parte del campione tanto che quasi il 54% dei rispondenti aderisce con costanza ai programmi di screening biennali offerti gratuitamente del SSN.

Tuttavia, circa l’11,7% del campione non rientra nella fascia d’età prevista dallo screening mentre il 12,1% non è stato mai raggiunto da una comunicazione su questa opportunità.

Riguardo l’autoesame delle mammelle, il 43% del campione lo effettua con regolarità ma oltre il 50% lo effettua di rado o mai.

Un riscontro decisamente positivo emerso dall’indagine e legato alla consapevolezza e sensibilizzazione della popolazione su questo tumore, è la scoperta in fase precoce della malattia in oltre il 90% del campione.

Al momento della diagnosi, infatti, il tumore della mammella era in fase iniziale (meno di 2 centimetri senza linfonodi coinvolti) nel 53,4% dei rispondenti e in fase iniziale (più di 2 centimetri con interessamento dei linfonodi ascellari) nel 32,3% mentre era in fase avanzata nell’11,2% e con metastasi a distanza in un residuo 3,1% del campione.

La maggioranza del campione (49,3%) è stata presa in carico all’interno di una Breast Unit oppure da un reparto oncologico (33,2%); solo il 13% è stato assistito in un reparto di chirurgia generale.

«L’indagine sul tumore al seno promossa dal Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” dimostra quanto sia cruciale quando si tratta di tumori la comunicazione rivolta alla popolazione generale e ai pazienti – sottolinea Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano – i dati dimostrano come sia alta la consapevolezza delle persone su questa specifica neoplasia e come essa consenta l’adesione alla prevenzione secondaria come lo screening mammografico. Un dato che rafforza e conferma l’importanza dei programmi di screening, è la diagnosi del tumore mammario che viene fatta in fase precoce nella maggioranza del campione. Un altro dato importante riguarda la presa in carico delle pazienti e dei pazienti in una Breast Unit o in un reparto di oncologia. Questo significa che in Italia la presenza delle Unità di senologia è molto alta e piuttosto capillarmente diffusa, certamente disponibile negli ospedali di tutte le grandi città. La Breast Unit è una struttura altamente specializzata per la diagnosi e cura del carcinoma della mammella che consente ai pazienti la presa in carico da parte di una équipe che risponda al bisogno di cura a 360 gradi grazie alla collaborazione tra i diversi professionisti (chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, anatomo patologo, psiconcologo) e garantisce i migliori standard in termini di trattamenti chirurgici e medici. Tutto ciò per i pazienti è una garanzia sia in termini di scelte terapeutiche sia in termini di efficienza organizzativa».

Il 40,8% del campione si sottopone alla visita senologica una volta l’anno e il 26% ogni due anni resta, tuttavia uno zoccolo duro, pari al 28,3% del campione, che non si è “mai” o “raramente” sottoposta a questo semplice esame clinico.

La scoperta del tumore avviene per caso sentendo un nodulo durante l’autopalpazione (40%), il 5,8% lo ha scoperto osservando i cambiamenti del capezzolo, il 25,6% a seguito dello screening e l’8,1% durante controlli per familiarità.

 

Marina Morbiducci, Referente Fondazione IncontraDonna

«Fondazione IncontraDonna, che rappresento, è onorata di essere al fianco di tutte le Associazioni che partecipano al progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. Sono ancora molti gli unmet needs su cui è necessario lavorare – dichiara Marina Morbiducci, Patient Advocate Fondazione IncontraDonna – Nell’ambito della gestione quotidiana della malattia l’assenza di un sostegno psicologico è l’aspetto maggiormente segnalato dall’indagine. In Italia, infatti, si evidenzia una notevole disuguaglianza nell’offrire interventi psico-oncologici la cui carenza implica che pazienti, famiglie e caregiver si trovano a dover affrontare da soli il carico psicologico che aggrava il percorso di cura. Sebbene l’indagine abbia evidenziato buona consapevolezza rispetto ai temi riguardanti la salute del seno, è ancora fondamentale lavorare sulla centralità della prevenzione primaria e su come questa giochi un ruolo cruciale nel prevenire molti fattori di rischio per i tumori, salvaguardando lo stato naturale di salute degli individui e contribuendo alla sostenibilità del nostro sistema sanitario. La diffusione della cultura della prevenzione, la necessità della “cura” psiconcologica per i pazienti oncologici e per i loro caregiver sono alcuni dei pilastri sui quali si basa la mission di Fondazione IncontraDonna e la nostra attività di Patient Advocacy.»

 

Il tipo di tumore mammario più frequente (46,6%) è quello positivo al recettore ormonale (HR), seguito dal tumore HER2 positivo (24,2%) e dal tumore triplo negativo (10,3%).

Circa il 18,8% del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Questo dato mette in luce una criticità nella comunicazione durante il percorso diagnostico.

L’intervento chirurgico resta il trattamento d’elezione, quando è possibile operare, allo scopo di eradicare, cioè, asportare tutto il tumore.

Terapia ormonale (64,1%), radioterapia, (63,7%), chemioterapia (44,8%), farmaci target (11,2%) e immunoterapia (10,3%) sono le opzioni terapeutiche impiegate routinariamente, si tratta di terapie farmacologiche sempre più targettizzate e con minori effetti collaterali, spesso utilizzate in combinazione e facili da assumere a domicilio per evitare i ricoveri e aumentare l’adesione alla cura.

Riguardo la familiarità, meno di un paziente su 2 riferisce una storia familiare per tumore della mammella in parenti di I e II grado. Resta il fatto che al 58,7% del campione non è stato suggerito di effettuare il test genetico che è stato prescritto solo ad un terzo dei pazienti.

Le pazienti e i pazienti con tumore della mammella hanno una percezione molto chiara dell’impatto che la neoplasia ha nella vita di tutti i giorni, limitandone le attività anche più basilari: il 34,1% dei rispondenti ha lamentato ansia/depressione, il 18,8% ha accusato postumi dell’intervento chirurgico, notevoli i disagi vissuti a causa della distanza tra casa e ospedale, il 17% ha riferito difficoltà di comunicazione con l’oncologo curante mentre il 16,6% ha lamentato l’assenza di un supporto psicologico, infine, oltre il 16,1% ha avuto problemi nella gestione delle terapie e dei controlli per i quali la maggiore criticità sta nell’organizzazione.

«I risultati di questa indagine fanno emergere alcuni aspetti molto positivi nell’assistenza ai pazienti con diagnosi di tumore della mammella ma anche aree di criticità sulle quali le Associazioni aderenti al Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” dovranno lavorare per colmare i gap ancora esistenti, mi riferisco in particolare al supporto psicologico, ai test genetici e ad un maggior contatto con i medici curanti – dice Mariangela Fantin, Presidente A.N.D.O.S. Udine – Associazione Nazionale Donne Operate al Seno – molto incoraggiante il dato sulla diffusione delle Breast Unit che offrono una presa in carico di qualità, questo significa che è stata compresa dagli operatori sanitari l’importanza di assistere le donne con tumore al seno non solo in quanto malate ma in quanto persone. Per questo motivo dobbiamo continuare a dialogare con le istituzioni nazionali e regionali affinché continui ad essere garantita la prevenzione secondaria e dentro gli ospedali una presa in carico globale. Il tumore al seno è una malattia che impatta pesantemente sulla qualità della vita e come evidenzia l’indagine, le pazienti e i pazienti hanno una percezione molto chiara dei loro bisogni. Questi pazienti non vanno lasciati da soli. Questa è la missione di A.N.D.O.S., impegnata a sostenere le pazienti attraverso l’offerta gratuita di supporto psicologico negli ospedali. Nella realtà di Udine, l’Associazione si avvale di due psicologi che mettiamo in contatto diretto con le pazienti che si rivolgono a noi; un altro importante servizio è l’offerta della parrucca, oltre alla consulenza di un medico che si occupa del database della Breast Unit dell’Ospedale di Udine. Infine, attraverso attività di raccolta fondi doniamo strumentazioni diagnostiche innovative».

Rispetto al percorso di cura le esigenze più sentite tra le pazienti e i pazienti sono la presenza di un team plurispecialistico per affrontare un approccio integrato alla persona, (38,6%), tempi più lunghi per i colloqui con i medici curanti (29,1%), maggiore informazione sulla malattia e le terapie disponibili (23,3%), la necessità di avere un supporto psicologico (20,6%), maggiore tutela dei diritti in ambito lavorativo e sociale (20,6%), percorsi facilitati in ambulatorio e day hospital (11,7%) e più informazioni su centri di riferimento (7,2%).