Può salvare vite e migliorare la qualità di vita di migliaia di bambini. Il Report di AstraRicerche, presentato alla seconda edizione di “Raro chi trova”, promossa da Takeda Italia con il patrocinio di SIP, AIG, AIMPS, AIAF e Cometa ASMME.

 

 

Lo screening neonatale esteso (SNE) può aiutare migliaia di bambini che ogni anno vanno incontro a disabilità gravissime o a morte prematura, a seguito di malattie da accumulo lisosomiale.

Sindrome di Hunter, Malattia di Gaucher, Malattia di Fabry: “queste patologie hanno nomi che derivano da chi le ha scoperte, dato che sono state individuate solo tramite autopsie, rilevando l’accumulo anomalo di molecole nelle vittime” ha spiegato Alberto Burlina, Direttore UOC di Malattie Metaboliche Ereditarie, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, nell’ambito di “Raro chi trova”, l’iniziativa promossa da Takeda con il patrocinio di SIP – Società Italiana di Pediatria e di AIAF – Associazione Italiana Anderson-Fabry, AIG – Associazione Italiana Gaucher, AIMPS – Associazione italiana Mucopolisaccaridosi e Cometa ASMME – Associazione Studio Malattie Metaboliche Ereditarie.

“Una volta avevano un percorso diagnostico lungo e difficile, poiché solo pochi centri in Italia erano in grado di rilevarle” ha aggiunto.

“La diagnosi ora si può fare già nei primi giorni di vita e per questo lo screening neonatale rappresenta una vera e propria conquista sociale”.

Nel nostro Paese queste malattie colpiscono con una frequenza di circa un caso ogni 6.000 neonati.

La legge di bilancio 2019 (art.1 C. 544) stabilisce l’inserimento di 10 patologie metaboliche, tra cui le malattie da accumulo lisosomiale, nella lista nazionale dello screening neonatale, modificando di conseguenza la Legge 167/2016. Ma fino ad oggi questo obiettivo non ha ancora trovato compimento.

Un Report condotto dall’Istituto AstraRicerche ha raccolto dati, esperienze e testimonianze di clinici, società scientifiche e associazioni dei pazienti sul valore e l’utilità dello screening neonatale esteso (SNE) per le malattie da accumulo lisosomiale, analizzando i risultati dei progetti pilota portati avanti dalle regioni Toscana e Veneto, che sono diventati paradigma di “best practice” in questa area.

Le evidenze parlano chiaro sui motivi per cui è necessario includere nello SNE le malattie da accumulo lisosomiale: la frequenza di casi positivi riscontrata sugli oltre 400.000 test effettuati nei progetti pilota in queste regioni è un forte elemento razionale per la sua estensione; accanto all’elevata frequenza della sintomatologia non neonatale.

Altro dato significativo: la sostenibilità economica. Lo screening neonatale esteso ha un relativo basso costo, qualche decina di euro a neonato, l’inserimento delle patologie da accumulo lisosomiale non cambierebbe le cose.

Emerge dal Report l’esigenza di rivedere il modello di screening, nonostante il sistema italiano sia un esempio virtuoso: pochi Centri ma molto selezionati, ad alta tecnologia e con personale super specializzato.

Ma resta la necessità di inserire questo modello di best practice in un percorso che deve servire a migliorare la storia naturale della malattia, con una presa in carico della coppia a partire dalla gravidanza.

Il Report è stato portato all’attenzione delle Istituzioni con l’obiettivo di sensibilizzarle ad accelerare l’estensione del panel dello screening neonatale esteso.

L’utilità dello screening neonatale esteso non è in discussione. Una diagnosi precoce può cambiare l’approccio terapeutico e la vita del paziente e questo è vero soprattutto per le malattie da accumulo lisosomiale, patologie croniche di origine genetica che si manifestano spesso nei primissimi anni di vita causate da un difetto o assenza di uno degli enzimi contenuti nei lisosomi.

 

La Malattia di Fabry

“È una patologia alla quale si sopravvive alla nascita” spiega Stefania Tobaldini, Presidente AIAF – Associazione Italiana Anderson-Fabry, “ma con una diagnosi neonatale si eviterebbe di peregrinare in modo inutile: sapendo cosa si ha, prima di tutto si cresce con consapevolezza e si possono programmare i controlli da fare. Se conosci la patologia, non la subisci, diventi paziente attivo e la puoi gestire dal punto di vista emotivo”.

“I sintomi sono fatica, magrezza, dolori a mini e piedi, problemi gastro intestinali, ai quali spesso non si trova una risposta con esami strumentali e erroneamente si pensa a problemi di tipo psicosomatico, cosa che porta i bambini a essere ancora più riservati sulle loro condizioni e a ritardare la diagnosi”.

“Lo screening neonatale porterebbe a innalzare l’aspettativa di vita, migliorare la qualità della vita e cambiare l’aspetto psicologico del paziente. Inoltre, lo screening – se positivo – permette di fare indagine familiare: identificare parenti stretti, zii, cugini o altri parenti che hanno difficoltà ad ottenere una diagnosi”.

 

La Malattia di Gaucher

“È causata da due portatori (inconsapevoli) di una mutazione” dice Fernanda Torquati, Presidente AIG – Associazione Italiana Gaucher “e può essere di tipo I, per la quale una terapia enzimatica permette il recupero, o di il tipo II, che è una forma neurologica con aspettativa di vita molto ridotta (anche solo di pochi mesi), con una sofferenza terribile per il bambino e per i genitori.

“Il tipo I e quello III (che è una combinazione di I e II) possono essere completamente differenti da caso a caso: i bambini possono essere asintomatici, con una vita normale (vi sono pazienti che hanno studiato fino all’Università, si sono sposati, hanno figli), oppure possono avere forme gravi (magari con qualche ritardo cognitivo, o con forme più pesanti – fino all’invalidità al 100%)”.

“Senza diagnosi o con diagnosi tardiva l’aspettativa di vita si riduce, anche di decenni. Ricevere una diagnosi permette anche di far screening familiare per intercettare altri familiari, che magari sono bambini e possono avere monitoraggio precoce”.

 

La sindrome di Hunter

La descrive Flavio Bertoglio, Presidente AIMPS – Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi: “può essere generata da due genitori portatori della mutazione o dalla sola madre, dipende dalla forma”.

“Lo screening è fondamentale, perché entro i due anni di vita è possibile fare il trapianto di midollo o usare le cellule staminali emopoietiche e se la terapia inizia a pochi mesi, se non c’è una compromissione neurologica, si può arrivare ad avere l’assenza di disturbi o quasi, con tratti somatici normali e una vita normale”.

 

Come funziona lo screening

«Lo screening neonatale è effettuato solo per le malattie che rispondono a precise caratteristiche: disponibilità di un test per le medesime, applicabilità del test all’intera popolazione di neonati, e che si tratti di malattie trattabili – afferma Giancarlo La Marca, Direttore Laboratorio Screening Neonatale Allargato, Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze

“Il test va effettuato entro le 72 ore dalla nascita, l’infermiere raccoglie il tampone che consiste in una goccia di sangue, l’analisi viene fatta da personale tecnico con specifica preparazione e il risultato è disponibile dopo 48-72 ore”.

“Sono possibili falsi positivi ma il second tier test, fatto dallo stesso spot di sangue originale, per cui non serve un secondo prelievo, aumenta molto la specificità diagnostica, riducendo i falsi positivi. Le malattie lisosomiali sono l’emblema dei punti interrogativi sullo screening neonatale: non c’è alcun dubbio che lo screening sia utile, anzi, necessario; ma alcune mutazioni hanno manifestazioni molto tardive, e l’interrogativo è se si debba comunicare ai genitori che il loro bambino avrà la manifestazione della malattia, che potrebbe presentarsi anche dopo 40 o 50 anni di vita. Diverso è il caso delle forme a esordio precoce, delle forme gravi fin dall’infanzia per le quali lo screening neonatale dà notevole vantaggio”.

Lo screening consiste in un test che analizza l’attività enzimatica specifica di ciascuna malattia seguito, nei casi positivi, da un secondo esame di conferma che ricerca i metaboliti caratteristici. I laboratori sono pronti: bisogna efficientare il sistema.

Luca Gentile, di Takeda Italia, ha dichiarato: “La nostra azienda crede molto nella partnership e per questo lavora assieme a clinici, pazienti e associazioni con lo scopo di conseguire i migliori risultati e altresì crede nel concetto di investire al di là del farmaco, soprattutto capire davvero quali sono le reali esigenze dei pazienti”.

 

 

 



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