Finché il virus non sarà debellato dal pianeta rimarranno in vigore misure di sicurezza per i medici e pazienti.
La pandemia da coronavirus sta mettendo a dura prova la società del Terzo millennio in tutte le sue componenti, nessuna esclusa. A parte i numeri, tra infettati, ricoverati e morti, in crisi sono le organizzazioni sanitarie, le economie, le religioni, la politica, trasporti e turismo, cultura, scuola, sport, ma anche centri commerciali e griffe. E, soprattutto, la scienza di tutto il mondo. In Italia, poi, tutto sembra moltiplicato per mille, tra debiti atavici e miope burocrazia, la diffusione del virus oltre l’incomprensibile non aiuta di certo. Il dopo Covid-19, al di là della fase 2, dovrà per forza prevedere cambiamenti radicali in tutti i settori. L’ultimo dubbio scientifico viene dall’Organizzazione mondiale della Salute (OMS) che con sofferenza annuncia: “Non è provato che i guariti siano totalmente immuni”. Un macigno per tutto quanto ipotizzato come strategia di ritorno a una sorta di normalità. Cioè l’ormai famoso “passaporto d’immunità”.
Il rapporto OMS dice testualmente: “Molte persone hanno sviluppato gli anticorpi, ma gli studi dicono che in molti casi i livelli di anticorpi neutralizzanti nel sangue sono estremamente bassi. Ad oggi, quindi, non è detto che le persone con anticorpi contro il Coronavirus siano immuni da una successiva eventuale infezione”. E l’OMS avverte: non è possibile introdurre un “passaporto di immunità” o un “certificato zero rischi” per coloro che hanno già contratto e superato il virus a questo punto dell’epidemia. Gli studi, comunque, continuano senza sosta. Gli esperti sono al lavoro per cercare di trovare un vaccino e per cominciare quanto prima i test sierologici in tutta Italia, nella speranza di riuscire a prendere il controllo della situazione, che al momento rimane estremamente critica e incerta, soprattutto in vista della riapertura graduale che dovrebbe partire dal prossimo 4 maggio.
Siamo, comunque, a un punto di svolta?
L’emergenza Coronavirus ha rivoluzionato le conoscenze, messo a dura prova la solidità del sistema sanitario, modificato il rapporto medico-paziente e, con esso, gli approcci terapeutici e i comportamentali adottati. Con tale premessa, i cambiamenti devono esserci. E, al primo posto, c’è la Sanità da rifondare a partire dal territorio e dai medici di medicina generale. Spesso vituperati, trasformati negli anni in burocrati prescrittori, eppure cardine di un’organizzazione sanitaria moderna.
Fase 2: come la affronteranno i medici di famiglia?
“La medicina, come l’abbiamo intesa finora, non esiste più – dice Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) -. L’ondata epidemica, che ha caratterizzato la cosiddetta fase 1, ha indotto radicali trasformazioni nelle corsie degli ospedali, negli ambulatori pubblici e privati, negli studi dei medici di base. Ed è proprio la figura del medico di famiglia a essere coinvolta nei cambiamenti più clamorosi, impensabili fino a qualche mese fa. Basti pensare alla dematerializzazione delle ricette o al monitoraggio telefonico dei pazienti che, pur nella loro semplicità, sembravano essere procedure irrealizzabili prima dell’insorgenza della pandemia”.
Ora, con la discesa della curva epidemica, che cosa accadrà? Solo parole, poi tutto come prima?
“Indietro non si può, e non si deve, tornare. L’emergenza ha spinto le istituzioni e gli organi preposti a rivedere l’intero modello sanitario e i provvedimenti introdotti non possono che costituire il punto di partenza per la gestione della fase di ripresa – continua Cricelli -. Se c’è una cosa che ci ha insegnato questa emergenza è che, per affrontarla, è necessario un piano nazionale: non possiamo gettare le basi della rinascita con iniziative locali. È fondamentale un coordinamento generale, che tenga conto del ruolo cruciale del medico di famiglia, che da sempre opera sul territorio a contatto con la gente”.
Ma quali gli scenari per la medicina generale?
Stop alle ricette di carta. Il Coronavirus ha fatto definitivamente sparire la carta. Da anni i medici di famiglia chiedevano il superamento del sistema di prescrizione cartacea dei farmaci, che ha costretto milioni di italiani a recarsi dal proprio dottore solo per ritirare fisicamente una ricetta. Con l’emergenza si è preso atto dell’inutilità di questa procedura (ma c’è voluta una pandemia!) che ha sempre contribuito a ingolfare gli studi medici di persone e di burocrazia. Oggi, e sarà così anche in futuro, il medico comunica telematicamente (per mail, sms o telefono) il “numero di ricetta elettronica” necessario per il ritiro del medicinale in farmacia.
Sms, mail, smartphone, app: la tecnologia entra prepotentemente in scena. Una scossa al sistema. Un passo avanti?
Uno studio dei medici di medicina generale (General Practitioner, o GP) inglesi ci offre statistiche chiave dell’uso delle tecnologie. A cominciare da un’app, “myGP”, fatta preparare da NHS England (il servizio sanitario nazionale inglese) entrata in funzione in questo periodo di lockdown, di blocco o distanziamento sociale. Che cosa è accaduto nelle prime due settimane di aprile? I dati di mygp.com ci dicono: aumento del 1.451% delle videochiamate con un medico di famiglia; aumento del 179% dei farmaci somministrati con successo direttamente nelle case dei pazienti; aumento del 47% degli ordini di prescrizione digitali; 8% di aumento nell’accesso e nella visualizzazione delle cartelle cliniche digitali.
Niente più sale d’attesa affollate?
Non è più pensabile che anche solo 5-6 persone sostino contemporaneamente in un ambiente, aspettando di farsi visitare. Gli accessi saranno scaglionati in modo tale che i pazienti non entrino in contatto tra di loro, fermo restando che ognuno deve avere il tempo necessario per parlare con il medico. Le nuove modalità di presa in carico degli appuntamenti dovranno tenere conto di tutti questi fattori.
E per le prenotazioni degli appuntamenti?
Cricelli: “Per evitare di fare la fila al supermercato, in banca o in posta si possono utilizzare app che consentono di prenotare l’ingresso in questi luoghi. Perché, allora, non si può fare la stessa cosa per entrare dal medico di famiglia? Il telefono va bene, ma è arrivato il momento di proporre anche nuovi strumenti, come appunto le app”.
Nella fase 2, medici e pazienti dovranno utilizzare i dispositivi di protezione?
I dispositivi di protezione individuali sono già entrati nella nostra quotidianità. Basta andare a fare la spesa o portare fuori il cane per accorgersi che ormai tutti i cittadini circolano muniti di guanti e mascherine. A maggior ragione bisogna tutelarsi negli studi medici. I medici devono disporre di tutti gli strumenti di sicurezza, forniti dal sistema sanitario, senza i quali non possono assolutamente visitare. Nelle sale d’attesa dovranno esserci dei dispenser per igienizzare le mani all’ingresso e all’uscita, e tutti i pazienti dovranno, a loro volta, indossare le protezioni necessarie.
Quindi, incentivare la medicina a distanza?
Nella fase 2 bisogna cercare di ottimizzare tempi, risorse e spazi per il bene e la salute dei cittadini, che non possono essere nuovamente esposti al rischio di contagio. In quest’ottica vanno anche incentivate le procedure a distanza, laddove siano possibili. Gli anziani e i malati cronici, per esempio, possono essere monitorati da casa con le telefonate, le piattaforme di messaggistica e le videochiamate. Gli esiti degli esami, come già oggi spesso accade, dovrebbero arrivare telematicamente al medico di famiglia, senza dover necessariamente far recare in studio il paziente. Spesso, poi, i disturbi sono tali da poter essere risolti anche con un colloquio a distanza, almeno inizialmente. Ciò non significa che le visite saranno ridotte o negate, anzi: le cure e le attenzioni verso i pazienti non diminuiranno. “Ma finalmente la medicina si ridurrà alle cose importanti ed essenziali. Tutto ciò che può alleggerire un sistema macchinoso e burocrate, va incoraggiato”, ribadisce Cricelli. Ricreando un rapporto medico-paziente più sfaccettato nelle modalità ma anche più assiduo.
Ma le visite a domicilio torneranno a farsi?
Si faranno, ma in sicurezza. Spiega Cricelli: “Spesso la visita a domicilio è indispensabile, quindi si continuerà a garantire anche questo servizio. Tuttavia, prima di poter fare una visita a domicilio, sarà compito del medico stesso dare tutte le informazioni e le regole sanitarie al paziente e ai suoi familiari, in modo da mettere in sicurezza gli ambienti della casa e tutelare entrambe le parti”.
Ambulatori e studi medici andranno sanificati?
Sicuramente. La SIMG ha già dato vita al progetto Safe Zone, che prevede inizialmente la sanificazione con l’ozono di oltre 100 ambulatori e sale d’attesa in circa 100 giorni. “Per mettere in sicurezza gli operatori sanitari, i loro collaboratori e i pazienti stessi nelle zone maggiormente colpite dal virus”, spiega il presidente Cricelli. L’obiettivo è arrivare a sanificare tutti i 60.000 studi di medicina generale presenti nel Paese nell’ambito di un’azione coordinata del sistema sanitario. Tutti i cittadini devono infatti essere sicuri della non contagiosità dell’ambiente medico.
Fase 2, quanto durerà ancora?
Non si sa ancora per quanto tempo dovremo fare i conti con Covid-19. Di sicuro il vaccino sarà la svolta. Le previsioni più credibili parlano di una durata complessiva non inferiore ai 7 mesi. Stando a questi dati, però, è ragionevole credere che l’insorgenza dell’influenza stagionale possa sovrapporsi all’infezione da Coronavirus. Ciò contribuirà ad aggravare il carico di malattia. La SIMG propone una vaccinazione di massa volontaria, dai sei mesi di vita in poi, per la prossima epidemia di influenza. In questo modo non solo si faciliterebbe un’eventuale diagnosi di Covid-19 ma si ridurrebbero anche del 40% le ospedalizzazioni per influenza e del 45% le assenze stagionali per malattia, con un risparmio notevole per il SSN.
E sul territorio, strutture mediche non ospedaliere?
Secondo epidemiologi cinesi occorrerebbe, anche in previsioni di future pandemie, aprire ambulatori Covid-19, soprattutto nei vari quartieri delle grandi città, per la ricerca, la diagnosi e l’assistenza nel campo delle malattie infettive. Ambulatori attrezzati, con accessi separati, distanziamento sociale applicato. Un ritorno al passato per l’Italia, ai mitici dispensari anti TBC che caratterizzarono i primi del 1900. Un’organizzazione che senza farmaci e senza molte conoscenze sul nemico funzionò nel limitare i danni della tubercolosi.