I timori per un’ondata di ritorno.

 

Mai abbassare la guardia con questo virus. Oggi sono tornati a salire i nuovi positivi, ma l’ottimismo persiste nel percorso verso la discesa. Il vero problema che preoccupa gli esperti di epidemie e contagi sono le ondate di ritorno. In attesa di un vaccino efficace, questa pandemia potrebbe colpire più volte se si abbassa la guardia. Quindi, da una parte è sotto stretta osservazione l’evolversi della situazione in Cina e in Sud Corea, dall’altra si studiano modi per tenere sotto controllo il contagio pur permettendo un ritorno alla normalità, o quasi. Entrano in campo il digitale, l’intelligenza artificiale, la tecnologia.

 

Anche in Italia?

Certo, dopo aver valutato che il miglior modello di controllo e gestione della pandemia sembra essere quello ad alta tecnologia applicata della Corea del Sud, e la proposta di Walter Ricciardi, membro italiano del comitato esecutivo dell’Oms e consulente del ministero della Salute, sembra prendere forma. Ricordiamola: potenziare i test, come l’Organizzazione mondiale della Salute (OMS) chiede a tutti da tempo, e adottare la strategia della Corea del Sud il prima possibile. Ricciardi indica questa strada da fine febbraio. E ora prendono ufficialmente il via i lavori della Task force tecnologica, “un contingente multidisciplinare di 74 esperti”, istituita dalla ministra per l’innovazione, Paola Pisano. La Task force lavorerà in accordo con il ministero della Salute.

 

Che compiti ha la Task force?

Il gruppo di esperti valuterà e proporrà soluzioni basate sui dati “per la gestione dell’emergenza sanitaria, economica e sociale” legata al coronavirus. Al vaglio del team anche una possibile app in grado di tracciare gli spostamenti. Il gruppo di lavoro, previsto dal decreto legge Cura Italia, è diventato operativo a seguito del decreto ministeriale firmato da Pisano.

 

In pratica in Italia starebbe per partire la Smart Health attuata in Sud Corea prima e in Cina poco dopo. In poche parole?

Effettuare il test al momento dell’insorgenza lieve dei sintomi, anche in presenza di un solo sintomo come mal di gola o tosse, cioè in una fase precoce dell’infezione. Subito dopo abbinare il test a una tracciatura iper-tecnologica sia di una persona sia dei suoi contatti in modo rapido. Così si ha la mappatura dei positivi e negativi e seguirne i movimenti e il rispetto dell’isolamento. In pratica il Paese riparte pur attuando un distanziamento sociale hi-tech. I positivi anche asintomatici stanno in isolamento fino a quando il test non sarà negativo e i negativi si possono muovere, adottando precauzioni, ma riprendendo le attività. I test andranno fatti anche ai dimessi guariti per monitorare che non vi siano ritorni del virus. In pratica, la popolazione sotto controllo digitale da un invisibile Grande Occhio della Salute.

 

Ma noi e altri Paesi come stiamo affrontando la pandemia?

La maggior parte dei Paesi, tra cui Italia, Spagna e Stati Uniti, fanno affidamento su politiche di “distanziamento sociale”, di quasi azzeramento degli spostamenti, dell’obbligo di non uscire da casa se non per motivi indispensabili. Però non si è ancora lavorato sui test per tutti, anche gli asintomatici, e la raccolta dati. La Cina sta solo ora conducendo test approfonditi, ma all’inizio ha messo in campo il suo enorme potenziale umano e i suoi funzionari sono andati porta a porta a controllare la temperatura delle persone, a sigillare chi doveva stare in quarantena perché positivo, a mappare la situazione sempre con il sistema del porta a porta applicato in modo militare e capillare. Così hanno bloccato il virus, ma ora stanno imitando la Corea del Sud sostituendo al controllo umano quello tecnologico.

 

Perché? Non è finita la pandemia in Cina?

Non ancora. C’è tutto il mondo attorno in piena pandemia e non si può rischiare con una seconda ondata pandemica. Sta accadendo a Hong Kong dove è stata ripristinata la quarantena, ma non è accaduto in Corea del Sud.

 

Stessa strada?

Non proprio, quasi simile. Le province cinesi useranno ora test approfonditi e la ricerca dei contatti per individuare nuove infezioni e manterranno alcune pratiche di distanziamento sociale per prevenire una ripresa. Il paese ha anche chiuso i suoi confini a tutti tranne che ai cittadini per impedire l’importazione di casi. I residenti di ritorno verranno messi in quarantena per 14 giorni. La Cina ora sta implementando un ampio monitoraggio Covid-19 a livello nazionale. Sarebbero, infatti, troppi i positivi asintomatici che girano liberamente infettando altri.

Quindi per evitare una nuova ondata, o limitarne i danni, ora la strategia è controllare via via il più possibile delle persone, cominciando da quelle più a rischio e più rischiose. Le province cinesi devono rilasciare a tutti i residenti un codice QR, un tipo di codice a barre contenente informazioni che vengono rivelate durante la scansione, in base ai loro dettagli sanitari e alla cronologia dei viaggi. Se una persona è rimasta in aree ritenute sicure in Cina o è stata messa in quarantena e testata negativa per la malattia, gli viene assegnato uno “status verde”, il rischio più basso, che consente di attraversare i confini provinciali, entrare negli ospedali e nelle aree residenziali, e guidare la metropolitana e i treni.

La misura non solo impedisce alle persone infette di mescolarsi con gli altri, ma se viene rilevata una nuova infezione, il governo può tracciare i movimenti di quella persona e individuare le persone con cui potrebbero essere entrati in contatto. Una forma avanzata di “test and trace” che consentirà alla Cina di identificare il maggior numero possibile di persone infette il più rapidamente possibile e quindi isolarle.

 

Ma ciò sarà sufficiente per fermare un nuovo focolaio?

Un problema è il numero di test da fare, amalizzare, classificare. La città di Wuhan ha fatto, all’apice dell’epidemia, oltre 10.000 test al giorno. Non è detto che altri prevedano test a tappeto come a Wuhan. Esiste il pericolo di concentrarsi troppo sui test e sull’isolamento. Quindi le misure di “distanziamento sociale” resteranno ancora importanti.

 

Ma è una strategia praticabile in Italia?

Per Ricciardi sì: «Siamo assolutamente fiduciosi. Per la tecnologia ci siamo, per l’organizzazione territoriale nel praticare i tamponi per i test anche. Ricercatori e aziende hanno lavorato a questa ipotesi da tempo e tutto sarebbe pronto per partire».

 

E la popolazione? La privacy?

Il progetto è stato illustrato al garante per la protezione della privacy. E va considerato che a parte l’emergenza, questi strumenti possano servire anche dopo per una sanità sempre più “intelligente”. Una Smart Health che vede la tecnologia protagonista per il benessere della popolazione e non certo a suo danno.

 

Finora però il problema non ha riguardato il reperimento delle informazioni, ma la difficoltà di organizzare tutti questi test.

«Se ci organizziamo, le risorse per i test ci sono. È chiaro che dobbiamo incrementarle», ammette Ricciardi. «La rete diagnostica dovrà essere rafforzata, specialmente al Sud. L’allargamento ad altri laboratori deve rispettare norme nazionali, ma deve essere fatto dalle Regioni».

 

La Task force ha iniziato a lavorare?

Sì. Il compito di questo gruppo di lavoro è individuare e valutare soluzioni tecnologiche data driven per supportare il Governo e gli altri pubblici decisori nella definizione di politiche di contenimento del contagio da Covid-19. Una corretta gestione e condivisione dei dati può consentire alle istituzioni pubbliche di assumere le decisioni migliori, progettare le azioni più efficaci e fornire servizi sempre più rispondenti ai bisogni ed alle necessità di cittadini ed imprese. Inoltre, l’uso delle tecnologie emergenti (data analytics, big data, intelligenza artificiale) può contribuire in modo significativo a contenere il numero di contagi e agevolare l’adozione tempestiva delle misure di distanziamento sociale indispensabili per arginare la diffusione del virus.

 

Ma c’è il rischio focolai di ritorno in Italia?

Sì. E poi, la nuova frontiera dell’epidemia di coronavirus in Italia potrebbe essere il Sud, avverte il virologo dell’università di Milano Fabrizio Pregliasco. «Per ora – spiega – ci sono focolai più ristretti ma bisogna prepararsi per tempo al peggio ed al rischio di un’ondata». Insomma, afferma, «bisogna organizzarsi per tempo per riuscire a gestire, se si dovesse verificare, lo scenario peggiore, ma continuano ad esserci dalle Regioni meridionali segnalazioni della necessità di implementare le dotazioni di dispositivi di protezioni individuali spesso insufficienti». Le attuali misure di rigore ed isolamento «saranno necessarie ancora per settimane, ma quando si avrà la riapertura del Paese sarebbe opportuno effettuarla gradualmente per quanto riguarda le aziende, sulla base dell’utilità sociale delle produzioni», conclude Pregliasco.

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