Patologia ultra-rara della coagulazione ad alto impatto sociale, colpisce improvvisamente e in modo molto aggressivo 30-40enni, soprattutto donne, con un alto tasso di mortalità.
Si chiama Caplacizumab ed è un nanoanticorpo bivalente anti-vWF (fattore di Von Willebrand) che agisce con immediatezza ed efficacia quando un’alterazione del sistema immunitario inizia a produrre anticorpi che inattivano l’enzima ADAMTS13 impedendo la regolazione del processo di coagulazione del sangue.
Prima terapia specifica per il trattamento negli adulti degli episodi di porpora trombotica trombocitopenica acquisita (aTTP), è da oggi disponibile in classe H in associazione a scambio plasmatico quotidiano (plasmaferesi) e immunosoppressione.
“Caplacizumab ha dimostrato di agire in maniera rapida ed efficace sui sintomi e sulle manifestazioni più gravi dell’aTTP: diminuisce il tempo di normalizzazione della conta piastrinica, riduce il numero di recidive, e il tasso di mortalità,” ha dichiarato Flora Peyvandi, professore di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Milano e Direttore del Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano che ha coordinato gli studi clinici registrativi in Italia.
“È un’importante arma terapeutica aggiuntiva per il trattamento di una patologia così imprevedibile, aggressiva e che ad oggi non aveva risposte terapeutiche efficaci e immediate.” Ed è proprio per questi motivi che AIFA ha riconosciuto a caplacizumab l’innovatività terapeutica condizionata.
Nonostante l’attuale standard di cura, infatti, gli episodi di aTTP sono ancora associati a un tasso di mortalità che raggiunge il 10-20%, con la maggior parte dei decessi che si verificano entro i primi giorni dalla comparsa dei primi sintomi. L’aggiunta di caplacizumab al trattamento standard consente ai medici che trattano gli eventi acuti di mantenere una adeguata conta piastrinica sino a quando plasmaferesi ed immunosoppressione non hanno svolto il loro effetto, rinnovando, di fatto, la modalità di trattamento della patologia.
“È una notizia davvero importante per noi ‘porporini’, commenta Massimo Chiaramonte, Presidente dell’Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica Onlus. “Dopo tanti anni di incertezza e timore che la patologia possa ripresentarsi, con conseguenze di notevole impatto sulla qualità di vita e la capacità lavorativa di noi malati, oggi è disponibile un trattamento che ci dà la speranza di poter migliorare qualitativamente la nostra condizione di persona con aTTP.”
La porpora trombotica trombocitopenica (TTP)
È una patologia autoimmune ultra-rara della coagulazione del sangue che colpisce ogni anno tra 1 e 6 persone per milione e può avere esito fatale. Sottotipo più comune della porpora trombotica trombocitopenica (TTP), la forma acquisita aTTP non è ereditaria ma si sviluppa dopo la nascita per cause ancora oggi sconosciute e interessa circa il 95% dei soggetti affetti da TTP.
È caratterizzata dall’estesa formazione di coaguli in piccoli vasi sanguigni in tutto il corpo che porta a trombocitopenia grave (conta piastrinica molto bassa), anemia emolitica microangiopatica (perdita di globuli rossi dovuta a distruzione), ischemia (limitato apporto di sangue ai tessuti) e danni diffusi agli organi, specialmente al cervello e al cuore.
È una patologia dal forte impatto sociale: colpisce principalmente persone giovani, tra i 30 e 40 anni, e soprattutto le donne, con un rapporto di 3:1 rispetto agli uomini. Per via delle sue manifestazioni acute, presenta un alto tasso di mortalità, fino al 20%, a poco tempo dalla comparsa dei primi sintomi.
A caratterizzare la patologia sono anzitutto la sua imprevedibilità e l’elevata aggressività e, se non diagnosticata e trattata tempestivamente e adeguatamente, può avere esito fatale o comportare danni permanenti a organi e apparati: la maggior parte dei decessi si registra mediamente a 9 giorni dalla diagnosi.
Inoltre, presenta un alto tasso di recidiva. Nel 30-35% dei casi la patologia può infatti ripresentarsi a uno o più anni di distanza dall’episodio acuto, nonostante il trattamento con lo standard terapeutico oggi disponibile, che consiste nella plasmaferesi e in una terapia immunosoppressiva.
Caplacizumab
Caplacizumab è il primo farmaco basato sulla tecnologia Nanobody® sviluppata da Ablynx, società belga oggi integrata in Sanofi. Ha ricevuto la designazione di farmaco orfano in Europa e negli Stati Uniti nel 2009, in Svizzera nel 2017 e in Giappone nel 2018.
Grazie al suo peculiare meccanismo d’azione, caplacizumab va a interferire con il processo patologico alla base dell’aTTP: si lega selettivamente ai multimeri ultralarge del Fattore di von Willebrand (ULVWF) e ne inibisce l’interazione con le piastrine. Questa inibizione selettiva previene l’accumulo delle piastrine evitando la formazione di microtrombi e le conseguenze a breve e lungo termine della patologia (trombocitopenia grave e anemia emolitica microangiopatica e nei casi più gravi a conseguenze che spesso si rivelano fatali, quali insufficienza renale, ictus o infarto).
Il programma di sviluppo clinico
L’approvazione di caplacizumab in Europa (agosto 2018), negli Stati Uniti (febbraio 2019) e oggi in Italia, si basa sugli studi TITAN di fase 2 ed HERCULES di fase 3, che hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di caplacizumab in aggiunta allo standard di cura (plasmaferesi quotidiana e immunosoppressione).
Nello studio HERCULES, il trattamento con caplacizumab, in aggiunta al trattamento standard di cura, ha determinato un tempo di normalizzazione della conta piastrinica significativamente, nonché una riduzione significativa nella somma dei decessi correlati ad aTTP, delle ricorrenze di malattia e di eventi tromboembolici maggiori durante il trattamento, e un numero significativamente più basso di ricadute di malattia nell’intero periodo dello studio. È importante sottolineare che il trattamento con caplacizumab ha determinato una riduzione clinicamente significativa dell’uso di plasmaferesi e della durata della degenza.
Negli studi clinici, caplacizumab ha dimostrato un profilo di sicurezza coerente con il suo meccanismo d’azione.
Anche l’Italia ha partecipato ai due trial clinici, con 9 centri sperimentatori (4 per lo studio TITAN e 5 per lo studio HERCULES) e un totale di 26 pazienti.
Entrambi gli studi sono stati pubblicati sul prestigioso New England Journal of Medicine.