L’immuno-oncologia con pembrolizumab da oggi disponibile per 4 neoplasie.
In Italia il 63% delle donne e il 54% degli uomini colpiti da tumore sono vivi a 5 anni dalla diagnosi. Percentuali nettamente migliori rispetto alla media europea, pari rispettivamente al 57% e al 49%.
Il nostro Paese si trova al primo posto nel Vecchio Continente anche per diminuzione dei decessi per cancro: in 15 anni (2001-2016) è stata pari al 17,6%. L’innovazione ha offerto un contributo decisivo a questi risultati grazie anche all’immuno-oncologia: un approccio che potenzia la risposta del sistema immunitario contro il cancro.
E, oggi, per neoplasie frequenti come quelle del polmone e dell’urotelio, rispettivamente al 3° e al 5° posto per numero di nuovi casi, e per tumori difficili da trattare come il melanoma e il linfoma di Hodgkin classico refrattario o recidivato, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di pembrolizumab, molecola anti PD-1 di MSD, riconoscendone l’innovatività. Alle prospettive offerte dall’immuno-oncologia è dedicata una conferenza stampa oggi a Milano.
“Nel 2019, in Italia, sono stimati 371mila nuovi casi di cancro – afferma Giordano Beretta, Presidente Nazionale Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. Gli ottimi risultati in termini di sopravvivenza sono la conseguenza di un eccellente sistema di assistenza universalistica, che caratterizza il nostro Paese e garantisce a tutti le migliori cure. I farmaci innovativi permettono di allungare la sopravvivenza e di migliorare la qualità di vita dei pazienti, che vengono reinseriti nel mondo del lavoro e ritornano a costituire una componente produttiva del Paese. Il Fondo per i farmaci oncologici innovativi, pari a 500 milioni di euro ogni anno, fu istituito nel 2016 come misura emergenziale e, in questi anni, ha garantito il rapido accesso dei pazienti alle nuove terapie. Il Fondo è stato confermato per il prossimo triennio. Si tratta di una decisione importante. È indispensabile, però, che venga reso strutturale affinché l’accesso alle terapie innovative non sia interrotto”.
Nel 2019, in Italia, sono stimati 42.500 nuovi casi di tumore del polmone. Pembrolizumab è stato approvato da AIFA e rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale a maggio 2017, per il trattamento in prima linea dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico che presentano l’espressione di un biomarcatore, PD-L1, superiore al 50% (e in pazienti già trattati con la chemioterapia, cioè in seconda linea, con PD-L1 >1%).
“La nuova indicazione approvata da AIFA riguarda la combinazione di pembrolizumab con platino e pemetrexed per il trattamento in prima linea del carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico non squamoso in assenza di mutazioni di EGFR o traslocazione di ALK – spiega Marina Garassino, responsabile Struttura Semplice di Oncologia Medica Toraco Polmonare, Dipartimento Oncologia Medica, presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano -. Nello studio KEYNOTE-189, con un follow-up mediano aggiornato di quasi 19 mesi, pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia con platino e pemetrexed ha dimostrato di ridurre il rischio relativo di morte del 44% rispetto alla sola chemioterapia”. “Grazie a questa approvazione – continua Marina Garassino -, aumenterà il numero di pazienti che potranno beneficiare dell’immunoterapia in prima linea poiché sarà possibile utilizzare la combinazione nei pazienti con livelli di PD-L1 inferiori al 50%, inclusi i pazienti negativi e quelli nei quali non è stato possibile determinare il PD-L1. Nello specifico, la chemioterapia ha un’azione sinergica antitumorale con il pembrolizumab, determinando in prima linea il raddoppio della sopravvivenza rispetto alla sequenza di trattamento chemioterapia seguita da immunoterapici in tutti i sottogruppi PD-L1. È importante impostare una strategia terapeutica che preveda l’immunoterapia in prima linea, sia che si tratti di combinazione, sia come agente singolo”.
Nel melanoma, tumore della pelle con 12.300 nuovi casi stimati nel nostro Paese nel 2019, l’anticipazione della terapia con pembrolizumab, subito dopo la chirurgia, permetterà di portare a guarigione un’alta percentuale di pazienti. AIFA ha infatti approvato la molecola nel trattamento adiuvante del melanoma (cioè dopo l’intervento chirurgico) in stadio III e con coinvolgimento dei linfonodi dopo resezione completa. “L’immuno-oncologia ha già dimostrato risultati importanti nella fase metastatica del melanoma, dove rappresenta lo standard di cura, il cui obiettivo è la cronicizzazione della malattia – spiega Mario Mandalà, Responsabile Unità Melanoma dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo -. Il trattamento adiuvante mira invece a ridurre il rischio di recidiva e a migliorare la sopravvivenza globale, guarendo così in modo definitivo un’alta percentuale di pazienti. Lo dimostrano i dati dello studio KEYNOTE-054, su più di 1.000 malati: a 18 mesi, il 72% delle persone trattate con pembrolizumab era libero da recidiva. Il valore aggiunto dello studio è di essere stato condotto in collaborazione con l’Organizzazione Europea per la Ricerca e la Cura del Cancro (EORTC), che lavora per definire nuovi standard di pratica clinica”.
Importanti i passi in avanti anche nei tumori del sangue, in particolare nel linfoma di Hodgkin (2.300 i nuovi casi in Italia nel 2019). “Quasi la metà delle diagnosi riguarda giovani under 35 – afferma Pier Luigi Zinzani, Professore di Ematologia all’Università di Bologna -. La malattia in fase avanzata comporta sintomi che determinano gravi conseguenze sulla qualità di vita: è come se i pazienti soffrissero di un’influenza cronica con forti sudorazioni, dolori, febbre alta, perdita di peso”.
AIFA ha approvato pembrolizumab nel trattamento di pazienti adulti con linfoma di Hodgkin classico refrattario o recidivato dopo trapianto autologo di cellule staminali e brentuximab vedotin (BV) o ineleggibili al trapianto o che abbiano fallito la terapia con BV. “Lo studio registrativo della molecola, KEYNOTE-087 – continua Pier Luigi Zinzani -, ha coinvolto pazienti che avevano fallito il trapianto autologo ed erano già stati trattati con brentuximab vedotin, un anticorpo utilizzato nei casi di recidiva dopo il trapianto e nei pazienti che non riescono ad arrivare a questa opzione perché la chemioterapia di salvataggio non è stata efficace. Esiste infatti uno ‘zoccolo duro’ di malati, pari a circa il 30%, che fino a oggi non disponeva di reali alternative terapeutiche. I dati aggiornati dello studio, presentati in questi giorni al Congresso Americano di Ematologia (ASH), hanno evidenziato che il 50% dei pazienti trattati con pembrolizumab che ha ottenuto la risposta completa mantiene tale risposta a 3 anni”.