Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sarà possibile eradicare per semre il virus da tutti i Paesi del mondo grazie agli anti retro virali diretti.
L’obiettivo dell’OMS dell’eliminazione dell’Epatite C entro il 2030 è possibile per l’Italia grazie alle nuove terapie, rapide, efficaci e senza effetti collaterali. Ma servono nuove politiche sanitarie: i risultati sin qui raggiunti nella lotta all’Epatite C nel nostro Paese sembrano essere ottimi.
Ad oggi, sono stati affrontati con successo 196mila casi, con benefici sia sotto il profilo clinico che sotto quello socioeconomico, con benefici per tutto il Servizio Sanitario Nazionale. Le nuove terapie infatti sono in grado di eradicare il virus in poche settimane, sono efficaci nel 98% dei casi e senza effetti collaterali.
Tuttavia, i pazienti ancora da trattare sarebbero ancora diverse centinaia di migliaia, di cui molti ancora da diagnosticare. Nascono così nuove sfide. Nuove politiche sanitarie che si concentrino soprattutto su tossicodipendenti e pazienti sottoposti a tatuaggi o piercing.
I dati che emergono dall’analisi economica effettuata in collaborazione dal CEIS EEHTA dell’Università di Roma Tor Vergata, dal Centro di Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del Farmaco sui pazienti trattati con i nuovi trattamenti antiretrovirali evidenziano risultati rilevanti: “Per il periodo 2015-2018, per 1000 pazienti trattati, è stimata una riduzione a 20 anni di circa 800 eventi clinici infausti tra cui cancro, scompenso della malattia severa del fegato, morte fegato correlata o trapianto di fegato – sottolinea Francesco Saverio Mennini, Research Director, Centro EEHTA, CEIS, Università di Roma Tor Vergata. – Questa riduzione di eventi clinici consentirà una conseguente e importante riduzione della spesa sanitaria a 20 anni di oltre 52 milioni di Euro per 1000 pazienti trattati. Inoltre, sempre da questa analisi, emerge con forza che l’investimento iniziale sostenuto dal SSN per il trattamento di pazienti trattati dal 2015 al 2018 verrà recuperato interamente entro 5.2 anni. Da questo momento in poi si inizieranno a generare risparmi per il SSN. L’introduzione del trattamento universale indipendentemente dallo stadio di malattia ha consentito, quindi, un’accelerazione del ritorno dell’investimento riducendolo a 4.5 anni per i pazienti trattati in fase lieve di malattia rispetto a 7.5 anni per i pazienti trattati in fase di una malattia più grave”.
Alla luce di questi dati, far emergere il sommerso si rivela ancora di più un obiettivo fondamentale ai fini del raggiungimento dei target dell’OMS dell’eliminazione dell’infezione da HCV, che riporta a lungo termine un beneficio sia di salute sia economico per il sistema sanitario nazionale
Il raggiungimento dei target fissati dall’OMS per eliminazione dell’HCV può essere mantenuto solo se verranno adottate adeguate strategie di screening per far emergere il sommerso. Tuttavia, i soddisfacenti risultati conseguiti finora non devono provocare facili illusioni sul futuro.
“Con le attuali politiche sanitarie, il numero dei trattamenti inizierà a scendere e si esaurirà tra gli anni 2023-2025, lasciando alto il numero degli individui infetti ma non diagnosticati – ammonisce Loreta Kondili, Centro di Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità. – Vi sono circa 300mila soggetti stimati ancora da diagnosticare, con un’età tra 30-60 anni, circa 10 anni in meno rispetto all’età media dei pazienti già diagnosticati e curati. I prevalenti fattori di rischio degli individui con infezione non diagnosticata sono la pregressa o attuale tossicodipendenza (stimati circa 150 mila persone) e tatuaggi o piercing (circa 80 mila) fatti prima della scoperta del virus nel 1989, rispetto alle precedenti trasfusioni di sangue e all’utilizzo di strumenti medici non monouso, prevalenti fattori di rischio nei pazienti già diagnosticati e curati per l’infezione da HCV”.
In virtù dei numerosi studi che attestano la convenienza economica, oltreché clinica, nell’eliminare l’Epatite C, gli specialisti sono dunque concordi nell’affermare che testare in modo sistematico le coorti di nascita tra gli anni 1948-1988, dove si collocano la maggior parte degli individui con infezione non nota in Italia, porterà a raggiungere gli obiettivi dell’eliminazione dell’HCV in Italia entro l’anno 2030 con costi nettamente inferiori da sostenere da parte del Servizio Sanitario Nazionale.