Uso inappropriato ed eccessivo degli antibiotici da parte dei medici la causa principale. In Italia il rischio maggiore.

 

Scordatevi Ebola. Se scoppiasse un’epidemia, anche di una patologia infettiva già nota ma divenuta farmaco-resistente, le persone contagiate sarebbero oltre duecentomila e i morti più di ottantamila.

È l’apocalittico scenario che le autorità inglesi hanno previsto elaborando i dati forniti dagli esperti
sugli effetti della diffusione di super batteri contro cui i tradizionali antibiotici hanno la stessa utilità
del bere un bicchiere d’acqua fresca: sono cioè praticamente del tutto inefficaci.

Italia a rischio maggiore

L’allarme arriva dall’Inghilterra, ma è il nostro Paese che potrebbe correre il rischio maggiore: in
Italia infatti il tasso di resistenza agli antibiotici è il più alto del Vecchio Continente.

“Le cause sono molteplici, ma in primo luogo dovute all’uso inappropriato ed eccessivo degli
antibiotici da parte dei medici, che li impiegano e li prescrivono anche quando non c’è un bisogno indispensabile, e al cattivo utilizzo da parte dei pazienti che, molto spesso, smettono di assumere il
farmaco alla scomparsa dei sintomi (per esempio appena sparisce la febbre) senza finire il ciclo completo” afferma Roberto Mattina, Professore ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica
e Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia, Università degli Studi di
Milano.

“Le resistenze batteriche agli antibiotici sono distribuite sul territorio in maniera molto disomogenea”
continua poi il professore: “per esempio un particolare microbo, lo Streptococcus pyogenes di gruppo
A (responsabile di patologie delle vie aeree e di infezioni della cute n.d.A.), risulta più resistente, fino
all’ottantasei per cento dei casi, nelle zone dove viene prescritta maggiormente l’eritromicina,
antibiotico appartenente al gruppo dei macroliti, mentre in altre aree del Paese, dove si fa minor uso
appunto di macroliti, questi ultimi hanno ancora una discreta efficacia”.

 

Professore, siamo davvero di fronte a un’emergenza così grave?

“Gli inglesi hanno affermato che l’antibiotico-resistenza è un pericolo simile al terrorismo.
Malattie come la meningite, la tubercolosi, il tifo, le polmoniti e molte altre ancora che attualmente sono curabili con gli antibiotici, potrebbero causare la morte di migliaia di pazienti.
Già al G8 del 2013, tenutosi proprio in Gran Bretagna, il primo ministro Cameron aveva lanciato un appello per la lotta ai batteri resistenti definendola una priorità globale e allertando sul rischio che l’intero pianeta piombasse in un era post-antibiotica, cioè in un’epoca del tutto simile a quella precedente la scoperta di questi preziosi farmaci, quando polmonite e influenza erano malattie mortali. Effettivamente stanno emergendo in misura crescente ceppi batterici resistenti agli antibiotici. Il rischio che queste resistenze, continuando ad aumentare, rendano inefficaci i farmaci attuali e ci facciano tornare all’era pre-antibiotica, è veramente molto elevato e ciò preoccupa i sistemi sanitari di tutti i Paesi”.

Quali contromisure si possono mettere in atto per scongiurare questo rischio?

“Purtroppo nello sviluppo di nuovi antibiotici non si sono fatti grossi passi in avanti nell’ultimo
decennio: significa che attualmente stiamo usando quelli “vecchi” quasi dieci anni e questo
spiega in parte la resistenza sviluppata dai batteri. All’orizzonte non si vedono imminenti
introduzioni sul mercato di farmaci innovativi e tutto lascia supporre che per i prossimi cinque
anni la situazione rimarrà invariata: fino al 2020 bisognerà quindi “riattivare” gli antibiotici che
abbiamo oggi a disposizione. E andare a ripescarne alcuni addirittura risalenti a più di mezzo
secolo fa, come l’acido fusilico, che agisce in un modo peculiare e per questo non è coinvolto nel
fenomeno della resistenza batterica”.

 

In pratica quali strategie adottare, specialmente in Italia, definita la “maglia nera” in Europa
per l’abuso di antibiotici?

“Sarebbe necessario istituire un Osservatorio delle Resistenze per mappare la situazione sul
territorio nazionale e monitorarla. Una volta individuata l’area in cui è presente una certa
resistenza sarebbe sufficiente che i medici limitassero la prescrizione di quel farmaco, o di quella
classe, per qualche anno. Come nel caso già descritto dello Streptococcus pyogenes di gruppo A,
di cui ci sono evidenze di una elevata resistenza in alcune zone del Paese di questo batterio ai
macrolidi mentre risulta sempre sensibile “in vitro” alle penicilline e alle cefalosporine.

“Riguardo alla Staphylococcus aureus, è nota la comparsa di ceppi, soprattutto ospedalieri, resistenti alla
meticillina (MRSA) che sono insensibili alla stragrande maggioranza degli antibiotici. Situazione
analoga si riscontra per il Propionibacterium acnes, responsabile dell’acne, i cui livelli di
resistenza raggiunti nei confronti dei macrolidi e delle lincosamidi (altra classe di antibiotici)
appaiono preoccupanti e non solo in Italia (58%) ma anche in altri Paesi come la Spagna (80%)”.

“Bisogna inoltre tener presente il fenomeno delle resistenze “crociate”, che coinvolgono allo
stesso tempo antibiotici dotati di medesimo meccanismo di azione come ad esempio i macroli.
L’acido fusidico, di cui accennavo prima, è un antibiotico scoperto negli Anni ’60 ed oggi poco
utilizzato, ma ha dimostrato in diversi studi una buona attività sia sullo Streptococcus pyogenes
di gruppo A sia sullo Staphylococcus aureus: possiede infatti una peculiarità per quanto riguarda
il meccanismo di azione che lo rende diverso da tutti gli altri antibiotici ed essendo l’unico
farmaco dotato di tale funzionalità non è esposto a fenomeni di resistenza crociata con altri
antibiotici”.

 

Ci spiega in parole semplici come nascono questi super-batteri?

“Ci sono diversi meccanismi che innescano delle resistenze che vengono acquisite dai batteri. Per
esempio tramite l’impermeabilizzazione dell’involucro esterno di questi microrganismi, oppure
per quella che è definita “la modificazione del bersaglio”: non bisogna dimenticare che la cellula
batterica è un organismo vivente e che prolifica molto velocemente; in alcuni casi in meno di
dodici ore si genera un miliardo di nuovi batteri e tra questi può essercene qualcuno che nasce
con delle modifiche che lo rendono immune all’antibiotico. Che così non è più attivo. Ecco
dunque che il farmaco spazza via tutti i batteri non modificati lasciando proliferare il nuovo
ceppo che è insensibile alla sua azione”.

 

Lei ha parlato di cause legate all’abuso di farmaci

“Non solo nell’ambito sanitario o per colpa del paziente. Il problema è anche l’uso massiccio in
campo zootecnico: agli animali vengono somministrate badilate di antibiotici. Non si dovrebbero
uccidere invece i microbi in modo indiscriminato: in questo senso commettiamo errori gravissimi
che dovrebbero essere corretti rapidamente”.

 

In che modo?

“Si tratta anche di una questione culturale. Sapete cosa evoca la parola microbo nelle persone? La
risposta è sempre la stessa: “qualcosa di molto piccolo e dannoso”. Al contrario, la maggior parte
di loro non è affatto pericolosa ma utile e indispensabile. Però, troppo spesso, viene lanciato un
messaggio sbagliato, come succede a volte nelle réclame di prodotti che proclamano di
distruggere il 99% dei microbi: è proprio con l’eliminazione di questa microfauna che si dà una
mano all’insorgere dei batteri super-resistenti”.

“Prendiamo per esempio i batteri del cavo orale: un centimetro cubo di saliva ne contiene oltre
cinquecento milioni e nella placca dei denti ce ne sono miliardi. Ma non sono tutti nocivi, anzi,
alcuni sono fondamentali per il nostro buono stato di salute, come lo streptococco alfa emolitico
che sta nella bocca: non crea problemi e protegge le tonsille. I dentifrici che lo distruggono
aprono la strada allo streptococco suo antagonista, che è invece un germe “cattivo” e genera
infezioni. Dunque non bisogna far fuori ogni batterio come fosse un pericoloso criminale, anzi a
quelli che propongono questo genere di strategia rispondo spesso con una battuta: chi uccide
indiscriminatamente i microbi dovrebbe rispondere dello stesso reato penale previsto per il
maltrattamento di animali”

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