Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla Luna. Credits: Nasa

Ecco perché l’uomo non calcherà più il piede sul suolo del nostro satellite

Si celebra oggi il cinquantesimo anniversario del primo sbarco umano sulla Luna. Una data che ha fatto letteralmente la storia, proiettando l’umanità in una nuova era, dove i viaggi nel cosmo non erano più solo confinati nei romanzi di fantascienza, ma alla nostra portata, fattibili e sicuri.

Si aprì allora una nuova epoca, nella quale sembrava che la colonizzazione del corpi del sistema solare (Luna, poi Marte, forse anche asteroidi) fosse ormai prossima.

È passato mezzo secolo da quando l’uomo ha messo per la prima volta piede fuori dalla Terra e le cose non sono andate proprio così.

In cinquanta anni non siamo andati su Marte e non abbiamo creato colonie o basi spaziali sul nostro satellite, anzi, non ci siamo nemmeno più tornati. Finita la guerra fredda, nessuna potenza ha più investito nei viaggi spaziali, anche perché non c’era più bisogno di mostrare con questi la propria superiorità tecnologica e scientifica.

L’ultimo viaggio

L’addio risale alle ore 6,40 del 14 dicembre 1972, quando Eugene A. Cernan, comandante della missione Apollo 17, levò il piede dal suolo lunare: dopo di lui nessuno è più tornato lassù e molto probabilmente nessuno ci tornerà mai più.

I motivi sono tre: è troppo costoso, troppo rischioso, scientificamente non rilevante. In altre parole, il gioco non vale la candela. Ma vediamo in dettaglio.

L’allunaggio del primo volo, 20 lugnio 1969. Credits: Nasa

Quali vantaggi scientifici?

Da un punto di vista scientifico non c’è nulla che un equipaggio umano possa fare più di una sonda automatica robotizzata. Che può stare sul suolo lunare per mesi o per anni, a differenza del tempo limitatissimo a disposizione degli astronauti.

Il programma sovietico di esplorazione della Luna, infatti, condotto parallelamente nel periodo delle missioni Apollo, ha prodotto molti più risultati scientifici in termini quantitativi rispetto agli sbarchi umani statunitensi. Certo, sono state imprese meno spettacolari e con meno significato per la storia dell’umanità, ma però più funzionali.

Andare e tornare a casa in tutta sicurezza: una condizione non facile da garantire

C’è poi il problema della sicurezza. Perché non solo bisogna garantire allunaggi dove sia preservata l’incolumità dei cosmonauti, ma, cosa più importante, il decollo dalla superficie lunare deve avvenire senza il minimo errore, pena il vagare nello spazio o permanere sul nostro satellite fino a che non si esaurisce l’ossigeno in dotazione agli astronauti. Una morte orrenda per soffocamento a trecentomila chilometri da casa.

Le missioni Apollo hanno dimostrato che la procedura si può fare con relativa sicurezza, ma ha anche evidenziato, e pensiamo al caso dell’Apollo 13, come un piccolo malfunzionamento può compromettere la salvaguardia dei cosmonauti.

A questo va aggiunto il problema delle radiazioni cosmiche a cui sarebbero sottoposti gli esploratori sulla Luna. Una soluzione è stata trovata progettando delle cupole piene di aria compressa, come quelle degli impianti sportivi, che verrebbero poi ricoperte da regolite (una sorta di ghiaia che abbonda sui corpi rocciosi del nostro Sistema Solare) schermando così un habitat per i cosmonauti. Ma il costo per la realizzazione pratica con robot automatizzati, è al momento improponibile.

La questione economica

Già, i costi. Un’altra ragione per cui la Luna non sarà probabilmente la prossima meta dell’esplorazione umana. Mandare in orbita del materiale per la Stazione Spaziale Internazionale costa circa settantamila dollari al chilogrammo.

E quest’ultima non è neanche nello spazio vero e proprio, ma si trova ad orbitare a quattrocento chilometri di altezza. I satelliti geostazionari percorrono orbite a trentasettemila chilometri, la Luna dista da noi mediamente trecentomila. Facendo le dovute proporzioni è facile calcolare come il costo per mandare uomini sul nostro satellite, con tutte le vettovaglie al seguito, sia davvero astronomico.

È anche vero che la Luna è ricchissima di minerali anche pregiati, ma sfruttarla come una miniera spaziale sarebbe controproducente economicamente: il valore di un chilo di materiale estratto non coprirebbe le spese di quanto investito per portarlo sulla Terra.

Credits: Nasa

A mai più rivederci?

Dunque diciamo addio per sempre alla colonizzazione del nostro satellite? Con buona probabilità, a meno di eclatanti risvolti sociopolitici globali, sì. Quello che probabilmente i nostri figli o nipoti vedranno sarà la realizzazione di una stazione spaziale abitabile orbitante intorno alla Luna.

Questa soddisferebbe tutti e tre i requisiti prima citati: sicura ed economica, perché si elimina il problema di allunaggio e decollo, e anche scientificamente importante, dato che lì si potranno davvero studiare gli effetti della permanenza nello spazio di uomini ed altri essere viventi. Sarà anche un luogo di osservazione privilegiato verso il cosmo, senza l’atmosfera e i bagliori della civiltà terreste che ne inficiano la visione.

E Marte?

Per quanto riguarda il pianeta rosso negli ultimi anni sono stati fatti molti proclami: è stato preannunciato un possibile sbarco nei prossimi 20 o 30 anni. Se però un viaggio sulla Luna si può compiere in una settimana, andata e ritorno più soggiorno, raggiungere Marte comporta una spedizione di almeno due anni.

Si moltiplicano perciò tutte le incognite e le problematiche già esposte per la Luna. Inoltre, se quest’ultima poteva essere considerata un trampolino di lancio verso l’esplorazione di nuovi pianeti, per Marte non è così. Oltre ad esso, infatti, non c’è più nessun corpo celeste del nostro Sistema Solare dove l’uomo possa approdare, eccetto le fredde lune di Giove e Saturno o i mondi ghiacciati oltre Nettuno. E allora vale doppiamente il precedente interrogativo: ne vale davvero la pena?

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