Bloccando una specifica proteina si ottiene la morte delle cellule cancerose e si arresta la crescita del tumore.
Inibendo il funzionamento di una particolare proteina, chiamata CDK7, si provoca una reazione a catena che ha come risultato finale la morte delle cellule tumorali del carcinoma prostatico che resistono al trattamento con terapie standard.
La scoperta è di ricercatori dell’Abramson Cancer Center dell’università della Pennsylvania che hanno identificato il ruolo di CDK7 nel meccanismo di sviluppo del tumore alla prostata.
La proteina infatti agisce come un interruttore che accende e spegne un particolare processo biochimico, chiamato Med-1, che assieme al recettore degli androgeni (AR) controlla la crescita del cancro.
“Spegnando” questa proteina si è ottenuta la morte delle cellule cancerose nei topi, come spiegato dai ricercatori nel numero del 29 agosto della rivista Cancer Discovery.
L’approccio standard per curare questo tipo di tumore è la terapia di deprivazione degli androgeni, che blocca l’omonimo recettore, ma durante il trattamento molti pazienti sviluppano una resistenza alla terapia, così il cancro cresce e forma metastasi.
A quel punto si può intervenire con due farmaci specifici, ma nessuno dei due ha mostrato grandi vantaggi nell’allungare la vita dei pazienti.
Non riuscendo a fermare il nefasto lavoro del recettore degli androgeni, gli scienziati hanno rivolto le loro attenzioni a quello che è definito come il “copilota” dell’AR perché lavora in parallelo con questo ed è appunto il MEd-1.
Usando quindi un inibitore che “spegne” la proteina CDK7 i ricercatori sono riusciti a fermare il processo Med-1, e di conseguenza far morire le cellule tumorali, sia in laboratorio sia nei topi.
Il bello è che gli inibitori di CDK7 sono già stati impiegati in studi clinici di fase I per altri tipi di tumore, come leucemia, cancro ai polmoni, al seno e glioblastoma, e quindi, grazie a questo studio, si apre la via alla sperimentazione umana per il cancro alla prostata.